Sorpresa 8 marzo: si festeggiano le madri e i padri, altro che ideologia gender
Non capita spesso di commentare pensieri nuovi per l’8 marzo. Stavolta però qualcosa, lentamente, si muove. Ecco perché: il Corriere della sera ha lanciato l’hashtag #ringraziounadonna e gli omaggi più gettonati sono stati quelli alla mamma e alla maestra, ruoli talmente “tradizionali” e “superati” secondo il femminismo rampante da far impallidire il fronte emancipazionista. Oggi lo stesso giornale introduce un elemento ulteriore: Barbara Stefanelli firma l’editoriale in cui si chiede di scegliere uomini da ringraziare, perché nella vita delle donne anche gli uomini sono importanti. Cade un muro innalzato negli anni Settanta, e cementificato negli anni: quello dell’ostilità tra i sessi, della guerra tra femmine oppresse e maschi prevaricatori.
Il padre è la prima figura che si impone
E ovviamente, anche nel caso degli uomini da ringraziare, il padre è la prima figura che si impone. La madre e il padre, non genitore 1 e genitore 2. E del resto c’è stato, lo sappiamo, anche un femminismo minoritario, che ha coltivato la differenza come ricchezza, che ha apprezzato persino gli studi sul matriarcato di Bachofen, e che è destinato a soccombere tristemente all’imposizione ideologica del gender sulla persona umana come essere indistinto, che può farsi femmina o maschio a proprio piacimento.
8 marzo, una festa non più politica
Un 8 marzo, allora, all’insegna della rivalutazione della famiglia. Del garbato ricordo di chi veramente ha contato nella vita delle donne. Se vogliamo è anche un ripiegamento: la festa, da tempo, ha cessato di essere”politica” e “politicizzata”, passerella, tutt’al più, per iniziative elitarie e minoritarie come la grammatica femminilizzata (più scempio del buon gusto che tributo all’uguaglianza di genere).
Se torna la complementarietà
Poi c’è la storica Lucetta Scaraffia che sul Messaggero firma un editoriale in cui scrive che l’antagonismo uomo-donna deve andare in soffitta. Scaraffia cita la filosofa Camille Froidevaux-Metterie che ha difeso il lavoro in casa delle donne puntando sulle soddisfazioni affettive come parametro per valutare la felicità delle donne al posto del criterio quantitativo delle quote. Senza antagonismo c’è condivisione, c’è la “fatica di vivere” insieme, dividendosi i compiti nel rispetto delle attitudini di ciascuno. La rabbia degli slogan delle suffragette cede il passo a un concetto che la destra al femminile lanciava, inascoltata, negli anni dei cortei e delle mimose: complementarietà. Peccato che tutto ciò avvenga nell’inconsapevolezza delle donne di destra eredi di quelle battaglie, magari troppo affaccendate a liberarsi di altre ingombranti eredità: il celodurismo e il velinismo, per esempio…