Thailandia, condannato a 25 anni di carcere per lesa maestà su Facebook
Un’altra condanna in Thailandia per lesa maestà. Un imprenditore tailandese di 58 anni è stato condannato a 25 anni di reclusione per lesa maestà, in relazione a cinque post pubblicati su Facebook l’anno scorso critici verso la giunta militare e la monarchia. Lo scrive il Bangkok Post.
Thailandia, condannato per cinque post su Facebook
Thiansutham, il nome del condannato, il cui cognome non è stato specificato, è stato giudicato colpevole da una corte militare di Bangkok in un’udienza a porte chiuse, e condannato a dieci anni per ognuno degli interventi incriminati. La pena è stata dimezzata in seguito alla confessione del presunto reo, una pratica comune per i casi di lesa maestà nel Paese. Secondo il sito iLaw, si tratta della più severa pena di sempre per lesa maestà in Thailandia.
In Thailandia le leggi sulla lesa maestà sono tra le più dure al mondo
Dal colpo di stato dello scorso maggio, la giunta militare di Prayuth Chan-ocha ha ulteriormente intensificato i controlli contro la lesa maestà, ripetendo spesso di considerare la difesa della monarchia una delle sue massime priorità. L’attuale re Bhumibol Adulyadej, sovrano dal 1946 con uno status semi-divino, ha 87 anni e mostra chiari segni di indebolimento fisico. Nel Paese un dibattito sulla successione è tuttavia tabù. Un’altra sentenza che ha fatto discutere un mese fa è stata la condanna a due anni e sei mesi di due giovani attori. All’origine della controversia, una pièce teatrale recitata dai due giovani all’università. Intitolata La sposa del lupo, essa raccontava le vicende di un monarca di fantasia e del suo consigliere; essa è stata rappresentata all’università Thammasat di Bangkok, nell’ottobre 2013, per celebrare la rivolta degli studenti contro la dittatura del 1973, repressa nel sangue. I media non hanno potuto raccontare nei dettagli il processo, la trama della commedia incriminata e gli elementi che hanno determinato la condanna; secondo la legge thai, infatti, eventuali articoli di giornale o servizi che riportano le offese alla monarchia possono essere a loro volta perseguiti secondo il codice penale.