60 anni fa moriva Roberto Mieville, inventò il motto «boia chi molla!»
Sessant’anni fa se ne andava in un incidente stradale, a soli 36 anni, il deputato del Msi Roberto Mieville. Tenente carrista durante la guerra, fu preso prigioniero in Africa e rinchiuso al Fascists Criminal Camp di Hereford, in Texas, esperienza sulla quale scrisse dei libri autobiografici. Nel gennaio 1946 fu tra i fondatori dei clandestini Far, i Fasci di azione rivoluzionaria. Nel dicembre dello stesso anno fu anche tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano, partito del quale fu subito tra i principali animatori. Mieville fu il primo segretario giovanile del movimento, venendo eletto all’unanimità segretario del Raggruppamento giovanile studenti e lavoratori, precursore della Giovane Italia e del successivo Fronte della Gioventù. Nell’aprile 1948 appartiene alla prima storica pattuglia di deputati missini eletti alla Camera, insieme con Almirante, Michelini, Roberti, Filosa e Russo Perez. Al Senato, come si ricorderà, fu eletto un solo rappresentante della fiamma tricolore, il sindaco di Ariano Irpino Enea Franza. Fu poi rieletto nella II legislatura nel 1953, ma morì in carica. Mieville fu sempre un rappresentante della base, attivissimo in quegli anni difficili: andava a parlare nelle neocostituite sezioni missine, dalla Garbatella al Villaggio Breda alla Monte Mario, che inaugurò, e fu tra i fondatori della prima sede del Msi a Roma, la Appio Latino, come ricorda una lapide marmorea tuttora apposta all’esterno dei locali. Dopo la sua prematura morte i suoi camerati vollero intitolare a suo nome la sezione della Borgata Trullo a Roma. Era il 1958.
Con Mieville la storia della destra sarebbe cambiata
È probabile che se Mieville non avesse trovato la morte così presto, nell’incidente stradale nei pressi di Latina, la storia del Msi sarebbe stata diversa: lui era profondamente antiamericano, anticapitalista, antimonarchico e antiatlantico, richiamandosi in toto al fascismo repubblicano espresso nel manifesto di Verona del 1943. Un fascista di sinistra, insomma, che incarnava i principi socialisti e nazionali della dottrina mussoliniana. Ha lasciato tre scritti, in cui ricorda le sue esperienze della prigionia: Fascists criminal camp, Un racconto della guerra perduta, e Dal cielo ci guardano. Mieville racconta la durissima vita nel campi di Prisoner of War dove erano rinchiusi i non cooperatori, spesso vittime di violenze e soprusi da parte dei guardiani. Almirante, che di Mieville fu grandissimo amico ed estimatore, racconta che la prima volta lo vide in un fumoso cinema romano, era il 1947, dove si vedevano i combattenti della Rsi e dove tenevano riunioni. Quella volta Mieville non parlò di politica, ma raccontò la sua esperienza di guerra e di prigionia. Mieville parlò a un pubblico, malmesso, male in arnese, malconcio. Eppure, ricorda Almirante, che pathos, che capacità di avvenire. Non c’erano nemici da affrontare stavolta, disse Mieville, ma camerati da ritrovare. L’ex tenente ferrarese spiegò in quello squallido cinema che la politica non era l’arte del possibile, come si dice, bensì l’arte dell’impossibile. Mieville fu il creatore del fortunato motto che rimase impresso nella coscienza missina per sempre, quello del «Boia chi molla!», rigorosamente col punto esclamativo. Tra le sue altre frasi “folli”, si ricordano «il peggio del peggior fascismo è meglio del miglior antifascismo» e «a colpi di mitra risponderemo con colpi di mitra». In realtà chiosò Almirante, di mitra non ne avevamo neppure l’ombra, mentre Mieville si conquistò il diritto di parlare a Roma con la presenza – e la resistenza – fisica, ricevendo più legnate di quante non ne distribuisse.
Mieville creò un linguaggio per i giovani missini
Almirante, nella prefazione di una edizione di un libro di Mieville, ricorda un episodio che gli rimase impresso: «Lo ricordo al Foro Mussolini, nel 1949, alla testa della prima assemblea giovanile missina. Come abbia fatto Roberto a ottenere l’uso dei magnifici locali del Foro Mussolini per un’assemblea missina nel 1949 è tuttora un mistero. Come abbia fatto poi a trovare i mezzi per organizzare la mensa per un centinaio di giovani per una settimana, è un altro mistero. Ma dinanzi alla disarmante comunicativa di Roberto si aprivano tutte le porte, anche le più accidiose e arcigne», ricordò Almirante. E fu lì, al Foro Mussolini, che Mieville inventò un linguaggio per i giovani, per trovare un contatto tra chi c’era stato e chi non c’era stato, chi non aveva visto. Insomma, secondo Mieville, occorreva ristabilire la continuità della vita morale e spirituale che si opponesse al crollo totale dei valori. Tra l’altro, quella riunione dell’organizzazione giovanile missina al Foro Mussolini si concluse con un giuramento, e non con un documento…