70 anni dopo commuove ancora la morte della coppia Valenti-Ferida

30 Apr 2015 16:40 - di Antonio Pannullo
Osvaldo Valenti fotografa Luisa Ferida

Non è per essere nostalgici a tutti i costi, però dopo il bombardamento mediatico sul 25 aprile nel suo settantesimo anniversario con articoli, film non tutti eccelsi riesumati per l’occasione, eventi, concerti, happening e quant’altro, con relativo coinvolgimento delle scuole di ogni ordine e grado, ci sembrerebbe giusto e corretto che la verità storica non fosse stabilita soltanto dai vincitori, ma da tutti i protagonisti di quella tragedia che fu la guerra civile in Italia, che vide atrocità da entrambe le parti, giustificate, dicono molti, dalla gravità del momento. Il 30 aprile è l’anniversario, ad esempio, dello spietato bombardamento di Alessandria da parte delle Fortezze Volanti anglo-americane e del relativo mitragliamento dei caccia di scorta sulla popolazione. Come è noto, a un certo punto gli alleati decisero di iniziare su Italia e Germania dei veri e propri bombardamenti terroristici, ossia non tesi a colpire obiettivi militari, ma civili. Si doveva vincere la guerra, certo, e tutti i mezzi apparivano allora leciti. Ma oggi possiamo dire altrettanto? Era lecito e utile assassinare un inerme settantenne come Giovanni Gentile? O molto preti, ragazze, italiani disarmati, colpevoli solo di pensarla in un modo anziché in un altro? Certo che no, e se la storiografia raccontasse tutto quello che è successo in quei giorni, la pacificazione nazionale sarebbe compiuta. Una delle storie-simbolo di quell’aprile 1945 è certamente quella degli attori fascisti Luisa Ferida e Osvaldo Valenti, conosciutissimi all’epoca del cinema dei “telefoni bianchi”, che dopo l’8 settembre scelsero di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, e lui addirittura alla Decima Mas di Junio Valerio Borghese.

Valenti aderì alla Decima Mas di Borghese

Furono due tra le migliaia di vittime innocenti di quei giorni, per ammissione stessa dei partigiani a cui si erano consegnati. Il fatto successe a Milano, teatro di molte esecuzioni sommarie di fascisti o presunti tali. Loro erano belli, ricchi, e fino a poco tempo prima felici. Lui dicono fosse un cocainomane (il mondo dello spettacolo non era molto diverso…) lei invece pare fosse incinta. Quello che è certo è che si volevano bene, due anni prima avevano avuto un bambino, Kim, morto pochi giorni dopo la nascita, lei ne era uscita distrutta. Ora ci stavano riprovando, cercavano di costruirsi un futuro, la guerra sarebbe passata prima o poi, non immaginavano che sarebbe finita tanto male. La loro storia ha colpito l’immaginario collettivo degli italiani, a loro sono stati dedicati articoli, scritti, poesie, libri, film e ultimamente (2008) anche una fiction tv di Marco Tullio Giordana, Sanguepazzo, con Luca Zingaretti nel ruolo di lui e Monica Bellucci in quello di lei. È forse inutile rievocare qui le loro biografie e le loro carriere (hanno girato decine di film), o la precisa cronologia dei fatti, più volte raccontata da autorevoli storici e scrittori. Quello che va raccontato è che in quella mattanza ci andarono di mezzo anche persone che c’entravano niente, o che comunque non meritavano una fine tanto atroce, con una raffica di mitra, di notte, in una via di Milano, via Poliziano. Valenti era stato accusato di essere amico di Pietro Koch, torturatore di partigiani nella famosa Villa Triste. Erano un gruppo di criminali comuni, che furono arrestati proprio dai fascisti dalla Legione Ettore Muti per intervento diretto di Mussolini. Fu questa amicizia che probabilmente li perse. Ma mai nessuna prova dei coinvolgimenti dei due attori nelle cose che succedevano a Villa Triste fu comprovata. Comunque, dopo averli assassinati, i partigiani li lasciarono sulla strada con due cartelli di rivendicazione. Li trovò un prete, richiamato dagli spari, don Terzoli, che impartì loro l’estrema umazione. Li accompagnò poi all’obitorio su un’ambulanza, e lì trovò, quel 30 aprile, almeno 140 cadaveri raccolti nelle ultime ore nelle strade di Milano. Pochi giorni prima Valenti e Ferida si erano consegnati ai partigiani delle Brigate Matteotti, che avevano promesso salva la vita, e che li tennero in una cascina sino al 28 aprile, giorno in cui li trasferirono a quelli della Pasubio, in una casa a via Guerrazzi, dove si svolse un sommario processo. Non c’è chiarezza su chi dette l’ordine di ucciderli, perché a quanto pare il Cln il 25 aprile aveva raccomandato il deferimento dei due a un tribunale militare, mentre il capo partigiano Vero sostiene nelle sue memorie che lo stesso Sandro Pertini dette l’ordine decisivo. In ogni caso, Pertini o no, l’ordine arrivò dall’alto. Vero racconta anche – e su questo non ci sono dubbi – che i due furono depredati di tutto, denaro, argenteria, pellicce, gioielli e quant’altro. Di questa merce non si è mai saputo nulla, come di tanti altri beni depredati a fascisti assassinato sommariamente in quei giorni. Come disse Vero, il capo partigiano della Brigata Pasubio, responsabile del duplice omicidio, «la Ferida non aveva fatto niente, ma veramente niente. Ma stava con Valenti. E Valenti pagò per le sue vanterie. La rivoluzione travolge tutti».

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