Agguato a Istanbul, non ce l’ha fatta il pm ostaggio per ore dei brigatisti
Agguato a Istanbul: non ce l’ha fatta Mehmet Selim Kiraz, il magistrato turco preso in ostaggio da due estremisti di sinistra. Finisce in un bagno di sangue fra raffiche di mitra e esplosioni il pomeriggio di Istanbul che, dopo otto ore di angoscia, si è concluso con un blitz delle teste di cuoio turche. E le istantanee che immortalano gli istanti drammatici dell’agguato al Palazzo di Giustizia lo raccontano con evidenza raggelante. E proprio quelle fotografie del magistrato diffuse nel pomeriggio sul web e sui media, con una pistola puntata sul capo, ripreso davanti alla bandiera rossa con una stella a cinque punte del Dhk-C, hanno scioccato il paese.
Agguato a Istanbul, il Paese sotto shock
Una ricostruzione per immagini del terrore vissuto dal togato, vittima dei due brigatisti del gruppo estremista Dhkp-C, che chiedevano «giustizia» sulla morte di Berkin Elvan, il ragazzo simbolo delle grandi proteste di Gezi Park. Del caos degli spari e del ferimento mortale del magistrato, gravemente colpito durante l’assalto della polizia e morto poco dopo i soccorsi, nonostante un disperato tentativo dei chirurghi di salvarlo. Dell’uccisione, nel corso del blitz, dei due sequestratori. Testimoni hanno riferito di avere udito durante l’incursione delle teste di cuoio molti spari, raffiche di mitra, due forti esplosioni. Non si sa in quali condizioni il pm sequestrato ne sia uscito: quel che è certo è che la morte è avvenuta poche ore dopo in ospedale. Il premier Ahmet Davutoglu nella notte ha difeso l’operato della polizia, che già suscita una tempesta di polemiche per il drammatico esito del blitz, e ha lanciato un appello all’unità nazionale.
Il sequestro
Con l’agguato a Istanbul, i sequestratori esigevano «giustizia per Berkin», il ragazzo di 14 anni colpito alla testa da un candelotto lacrimogeno nel giugno 2013 mentre andava a comprare il pane per la famiglia, morto dopo 9 mesi di coma. La sua vicenda aveva commosso la Turchia. Centinaia di migliaia di persone avevano partecipato ai suoi funerali a Istanbul. Ma come per gli altri ragazzi uccisi durante le proteste di Gezi Park la giustizia è stata lentissima nel cercare i responsabili. Solo poche settimane fa il comando della polizia ha identificato l’agente che ha sparato. Per ora non è stato incriminato. Il pm Kiraz era stato incaricato delle indagini 4 mesi fa. I sequestratori avevano minacciato di far «pagare con la vita» il magistrato se entro tre ore una confessione pubblica del poliziotto non fosse stata diffusa in tv. L’ultimatum però era passato senza spargimento di sangue ed erano state avviate trattative, mentre il palazzo veniva evacuato e le teste di cuoio della polizia si schieravano attorno alla stanza in cui era sequestrato il magistrato. Non è chiaro come i brigatisti del Dhkp-C, un gruppo dichiarato terrorista da Turchia, Ue e Usa, responsabile di un attacco kamikaze nel 2013 contro l’ambasciata americana a Ankara (un morto), siano potuti entrare armati nel palazzo con le armi, nonostante le severe misure di sicurezza. Ma è possibile che il massiccio e misterioso black-out elettrico, il peggiore da almeno 15 anni, che nella giornata di martedì ha colpito tutta la Turchia, paralizzando Istanbul e Ankara, possa averli aiutati.
Sospetti sul blackout
Il premier Ahmet Davutoglu non ha escluso alcuna ipotesi, neanche quella di un attacco terroristico. Per il ministro dell’energia potrebbe perfino essere stato un “cyber-attacco”. Nel pomeriggio la corrente è tornata progressivamente nelle principali città. Intanto sul sequestro di Istanbul Davutoglu aveva ordinato il silenzio stampa, usando una norma che gli consente di imporre la censura a stampa e tv per ragioni di sicurezza nazionale o di ordine pubblico. Una facoltà usata spesso e volentieri in Turchia su vicende sensibili o scabrose, almeno 150 volte negli ultimi 4 anni, secondo Hurriyet. Il padre di Berkin nel pomeriggio aveva lanciato un appello perché non si versasse altro sangue. «Mio figlio è morto – ha detto Sami Elvan – non deve morire nessun altro. Non voglio che nessuno si faccia male. Chiedo solo giustizia, e un processo giusto». Poco dopo il blitz, Sami Elvan è stato visto vicino al Palazzo di Giustizia, con il volto stravolto…