Alfano querela il Giornale e l’Espresso. Teme il rischio macchina del fango?
Da un lato l’Espresso, dall’altro il Giornale. Angelino Alfano minaccia querele per tutti dopo l’inchiesta del settimanale di De Benedetti su quelli che sono stati definiti «gli affari della lobby di Alfano» ovvero un caso di consulenze affidate da enti pubblici alla moglie avvocato, Tiziana Miceli. Inchiesta che è stata ripresa, appunto, dal Giornale che per questo è finito a sua volta nel mirino del ministro dell’Interno.
Alfano minaccia querele
«Mi vedo purtroppo costretto a chiamare in giudizio il Giornale e il suo direttore Alessandro Sallusti in sede civile e penale», ha annunciato Alfano, dopo che aveva già avvertito che, poiché «l’Espresso costruisce scenari mistificatori e suggestivi», «ci rivedremo, mio malgrado, di fronte a un Tribunale».
Una tempistica sospetta
Ma è nell’annuncio di querela al Giornale che va individuata quella che potrebbe essere la chiave di lettura della vicenda. «In realtà – ha detto Alfano – avrei dovuto farlo altre volte in questi sedici mesi di odio a tratti belluino, ma non l’ho mai fatto nonostante il confine della diffamazione fosse stato superato in innumerevoli circostanze». Perché, dunque – bisogna chiedersi – Alfano decide di querelare proprio ora anche il Giornale (lo stesso ministro ha ricordato una precedente querela, vinta, contro l’Espresso)? La risposta potrebbe essere nel suo recente annuncio di voler procedere a una accelerazione politica. La sintesi di queste intenzioni si trova in una intervista rilasciata a Repubblica qualche giorno fa e, soprattutto, qualche giorno prima delle notizie sulla sua presunta «lobby».
Teme la “macchina del fango”?
In quell’intervista Alfano ha ribadito, delineandolo però in termini strategici, il suo intento da un lato di sfidare il riformismo di sinistra di Renzi e dall’altro di farlo puntando su un riformismo di destra da cui sia escluso, oltre a Matteo Salvini, anche Silvio Berlusconi. «Da una parte Renzi e noi e dall’altra Salvini e Vendola, Berlusconi e Grillo», ha detto Alfano. Dopo, c’è stato quello che evidentemente il ministro dell’Interno considera un fuoco incrociato, contro il quale ha deciso di opporre subito i paletti del Tribunale, forse intravedendo la possibilità che si scateni una campagna mediatica denigratoria che, come avvenuto in precedenza per altri, potrebbe danneggiare il suo disegno politico. E la circostanza che stavolta sia stata coinvolta anche sua moglie gli dà il miglior appiglio possibile per giustificare la sua azione giudiziaria, senza doversi avventurare immediatamente nel sentiero insidioso del “vittimismo” politico. «Questa volta – si è giustificato Alfano – il confine è stato superato da un lato ancora più inaccetabile poiché non riguarda solo me, ma mia moglie in quanto tale e come professionista».