“Foreign fighters”, crescono le truppe “made in England”. E in Italia…
Foreign fighters e Isis: il falso mito della guerra jihadista continua a mietere proseliti in Gran Bretagna. E sono cifre da incubo: sarebbero addirittura duemila i foreign fighter britannici nelle milizie dell’Isis. Fino ad ora la polizia del Regno Unito aveva detto, confermandolo nei giorni scorsi quando nove persone (di cui quattro bambini) sono state bloccate dall’esercito turco al confine con la Siria, che i foreign fighters britannici sono circa seicento. Ma una fonte anonima citata in queste ore dal Daily Mail sostiene in realtà che quella cifra sarebbe stata abbondantemente superata dai numeri reali.
Foreign fighters, numeri da incubo
Solo nell’ultimo mese, infatti, le famiglie e le madrasse nel Regno Unito non avrebbero notizie di una cinquantina di persone. Come noto, dei foreign fighter made in England c’è Jihadi John, il ventiseienne boia dell’Isis, drammaticamente noto come tagliagola di connazionali e non. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite citato dal quotidiano londinese, i foreign fighter sarebbero in tutto circa ventimila: la loro «formazione» avverrebbe in una campo multinazionale allestito nei dintorni di Raqqa, la capitale dello Stato islamico.
I “combattenti stranieri” in Italia
Anche il nostro Paese non è esente dall’inquetante fenomeno: e da circa 50 che erano, i foreign fighters del Bel Paese sono diventati 65. Tanti sarebbero – in base a stime recenti – gli italiani o le persone che hanno avuto a che fare con il nostro Paese e che hanno scelto di partire per andare a combattere in Siria e in Iraq. E anche se il numero degli italiani pronti ad arruolarsi nelle file dell’Isis è esiguo se paragonato alle cifre relative alla Gran Bretagna, resta soprattutto il problema del rientro, perché, come spiegava recentemente un articolo dettagliato de il Giornale, «i raid della coalizione e le crisi interne al moviemtno potrebbero accelerare il processo di ritorno». Non solo, in base a quanto accennato dall’Antiterrorismo, occorre monitorare pedissequamente le nostre carceri, un luogo dove incombe sempre più pericolosamente il rischio di radicalizzazione.