Pensioni, la Consulta boccia la norma Fornero sul blocco delle perequazioni

30 Apr 2015 17:00 - di Fortunata Cerri

Bocciata dalla Corte Costituzionale la norma Fornero, in materia di perequazione delle pensioni, contenuta nel ”Salva Italia”. L’impatto sui conti pubblici, stimato dall’Avvocatura dello Stato quando si tenne l’udienza pubblica, sarebbe di circa 1,8 miliardi per il 2012 e circa 3 miliardi per il 2013. La Fornero si difende: il blocco della perequazione per le pensioni oltre tre volte il minimo «non fu scelta mia». L’ex ministro del Lavoro, Elsa Fornero ricorda che fu una decisione «di tutto il governo» presa per fare risparmi in tempi brevi. «Vengo rimproverata per molte cose – dice – ma quella non fu una scelta mia, fu la cosa che mi costò di più».

Corte Costituzionale, bocciata la norma Fornero sulle pensioni

La norma che, per il 2012 e 2013, ha stabilito, «in considerazione della contingente situazione finanziaria», che sui trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il minimo Inps scattasse il blocco della perequazione, ossia il meccanismo che adegua le pensione al costo della vita, è incostituzionale. Lo ha deciso la Corte Costituzionale, “bocciando” l’articolo 24 del decreto legge 201 del 2011. «L’interesse dei pensionati, in particolar modo i titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio», afferma la Corte nella sentenza 70 depositata, di cui è relatore il giudice Silvana Sciarra.

La questione è stata sollevata da diversi tribunali

A sollevare la questione di legittimità costituzionale erano stati, con varie ordinanze tra il 2013 e il 2014, il tribunale di Palermo, sezione lavoro; la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna; la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria. Secondo la Consulta, le motivazioni indicate alla base del decreto sono blande e generiche, mentre l’esito che si produce per i pensionati è pesante. «Deve rammentarsi – si legge nella sentenza – che, per le modalità con cui opera il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, è, per sua natura, definitiva. Le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull’ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato». «La censura relativa al comma 25 dell’articolo 24 del decreto legge numero 201 del 2011, se vagliata sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento pensionistico – dice ancora la sentenza – induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (articolo 36 Costituzione) e l’adeguatezza (articolo 38). Quest’ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà» (articolo 2) e «al contempo attuazione del principio di eguaglianza», (art. 3).

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