Reato di tortura, la Camera verso il sì al ddl. Ecco cosa prevede il testo
La Camera si appresta, non senza polemiche, ad approvare il ddl sul reato di tortura, che tuttavia diverrà legge solo fra diverse settimane visto che il testo tornerà al Senato.
I punti chiave della legge
Ecco i punti chiave della legge che arriva sull’onda della sentenza di condanna della Corte dei Strasburgo per i fatti di Genova e che ha, tra i suoi riferimenti principali la Convenzione Onu contro la Tortura, firmata (anche dall’Italia) a New York nel 1984. L’art. 1 prevede che quello di tortura sia un reato comune, punibile con la reclusione da 4 a 10 anni e ascrivibile a chiunque “con violenza o minaccia ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione o assistenza, intenzionalmente cagiona a una persona a lui affidata, o comunque sottoposta a sua autorità, vigilanza o custodia, acute sofferenze fisiche o psichiche” per “ottenere informazioni o dichiarazioni, per infliggere una punizione, per vincere una resistenza” o “in ragione dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose”. Ma in Aula scoppia la querelle sul fatto che il reato scatti solo nel caso la vittima sia affidata alla vigilanza del presunto colpevole. Una fattispecie che, secondo il M5S, escluderebbe, di fatto, che avvenimenti come quelli della Diaz possano essere puntiti per reato di tortura.
Le aggravanti: pena aumentata di 2/3 se la vittima muore
Scatta l’aggravante quando a commettere il reato è proprio un pubblico ufficiale che agisce con abuso di potere o violando i doveri inerenti alla sua funzione. In questo caso, con un emendamento approvato oggi, la pena massima è di 15 (e non più 12) di carcere, la minima di 5, con una ‘postilla’: la sofferenza inflitta deve essere “ulteriore” rispetto all’esecuzione delle legittime misure privative o limitative dei diritti. La pena, per pubblici ufficiali e non, sale di 1/3 in caso di gravi lesioni, di 2/3 per morte non voluta della vittima e si trasforma in ergastolo in caso di decesso causato volontariamente. La legge introduce inoltre il reato di istigazione del pubblico ufficiale (ad altro pubblico ufficiale) a commettere tortura: da 1 a 6 anni di reclusione la pena prevista.
Più difficili le espulsioni dei clandestini
L’art. 1 è l’asse di una legge che, tuttavia, interviene anche su espulsioni, immunità diplomatiche e estradizioni. Si vietano, infatti, espulsioni o respingimenti verso uno Stato nel quale, basandosi su fondati motivi, il respinto rischi di essere sottoposto a tortura. Un punto che ha fatto andare la Lega su tutte le furie che lo considera un cavallo di Troia salva-clandestini. Infatti sarà impossibile respingere ed espellere clandestini se nei rispettivi Paesi d’origine siano accertate ‘violazioni sistematiche’ dei diritti umani, nonostante il testo unico sull’immigrazione già preveda tutele per i rimpatriati e gli espulsi a rischio persecuzione.
Laffranco (FI): norma inutile
Il deputato azzurro Pietro Laffranco parla di norma inutile perché già vi sono ipotesi di reato sufficienti (lesioni, minacce omicidio…), ma “soprattutto ingiusta e dannosa, perché finalizzata ad intimidire le forze dell’ordine, rendendole impotenti dinanzi al dilagare della criminalità”.