Il saluto romano allo stadio non è reato. Ma per Ramelli non vale

18 Apr 2015 18:45 - di Anna Clemente

Il saluto romano allo stadio? «Non mette a repentaglio la democrazia e la Costituzione». È scritto nelle motivazioni della sentenza con cui, il 6 marzo, il tribunale di Livorno ha assolto quattro tifosi del Verona, accusati di aver violato la legge Mancino durante una partita Livorno-Verona del 2011, perché «il fatto non sussiste».

Le motivazioni del Tribunale di Livorno

Il giudice ha sottolineato che gli stadi «non sono luoghi deputati alla propaganda politica» e che, dato il contesto, il saluto romano «non determina un pericolo concreto e attuale alla diffusione e alla pubblicazione di idee discriminatorie e violente». Benché fossero stati rinviati a giudizio per la sola legge Mancino, il giudice di Livorno si è soffermato anche sulla legge Scelba e ha sottolineato che entrambe si basano sulla necessità di opporre uno scudo «al concreto pericolo di una effettiva riorganizzazione di movimento come il partito fascista». Quindi, scrive ancora il giudice, «ai fini della sussistenza del reato è imprescindibile che il comportamento censurato determini un pericolo concreto e attuale di riproposizione di quei movimenti in tutte le sue forme: proselitismo, propaganda, adesione politica, riorganizzazione». Circostanze, è la conclusione, che non si possono rintracciare nel semplice saluto romano.

I 16 rinviati a giudizio a Milano

Eppure di processi per saluti romani in contesti che nulla hanno a che vedere con una ipotetica ricostituzione del partito fascista o con l’incitamento alla discriminazione e alla violenza continuano a farsene. E talvolta la cornice di pericolo in cui vengono inseriti appare perfino più pretestuosa di quella di una partita di calcio. La dice lunga un caso che si è verificato a Milano, proprio alla vigilia dell’uscita delle motivazioni della sentenza di assoluzione di Livorno: il rinvio a giudizio di 16 persone “colpevoli” di aver fatto il saluto romano per ricordare Sergio Ramelli, il ragazzo milanese ucciso da militanti di Avanguardia operaia a colpi di chiavi inglese alla testa.

Chi incita all’odio e alla discriminazione?

Il 29 aprile di quest’anno ricorre il quarantesimo di quel brutale assassinio e il rinvio a giudizio dei 16 è arrivato nonostante il Presente, la commemorazione all’interno della quale viene fatto il saluto romano, sia una cerimonia esclusivamente commemorativa, con una ritualità che si ripete identica ormai da decenni, senza che abbia mai rappresentato l’occasione per una fantomatica ricostituzione del Pnf o per l’incitamento all’odio e alla discriminazione. Sentimenti, semmai, che si sono registrati con disumana insistenza proprio da parte di quelle file antifasciste che urlano al vulnus della democrazia di fronte a un saluto romano, ma che ritengono non si debba tributare alcun ricordo a una vittima innocente. In questo senso c’è un esempio che vale per tutti: l’Anpi. L’associazione partigiani negli anni è stata spesso capofila di quanti hanno cercato di impedire in ogni modo il ricordo di Sergio Ramelli, ora si è costituita parte civile nel processo per la commemorazione.

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