La Turchia e il genocidio armeno, una ferita che non si può rimarginare

13 Apr 2015 13:08 - di Lino Lavorgna

Il 24 aprile ricorre il centesimo anniversario del genocidio armeno. Nell’impero ottomano, oramai prossimo alla dissoluzione, si era affermato un progetto che vedeva al centro le popolazioni turche, omogenee per etnia, religione lingua e cultura. Per gli armeni, minoranza cristiana nel firmamento islamico, non vi era più posto. Nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 iniziò lo sterminio. Prima i militari e l’élite intellettuale e imprenditoriale, poi i vecchi, le donne, i bambini, allontanati a forza dai luoghi dove vivevano da millenni, deportati nei deserti di Siria e Mesopotamia e lasciati morire di fame e di sete. Oltre 1.300.000 le vittime, cui vanno aggiunte le decine di migliaia trucidate dal 1890.

Dal genocidio armeno alla storia di oggi

Oggi l’Armenia è un pacifico stato con poco più di tre milioni di abitanti, che portano nel dna il retaggio di una tormentata storia. Ottenuta l’indipendenza dall’Urss nel 1991, ha risolto nel 1994 il lungo conflitto con l’Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh, un’enclave armena in territorio azero, assegnata al governo di Baku da Stalin. Il tasso di emigrazione è molto alto, solo in parte compensato da chi rientra dalla “diaspora”.
Il genocidio armeno rappresenta una delle pagine più buie e atroci della storia dell’umanità, sulla quale ricade una scarsa attenzione mediatica e culturale. La propensione diffusa è quella di “dimenticare”, lasciando prevalere i molteplici interessi nei confronti della Turchia, che proprio non ne vuole sapere di riconoscere il genocidio, ammettendo le responsabilità dei “Giovani Turchi”. Storia analoga a quella delle foibe, per anni “dimenticate” onde non dispiacere a Tito, che faceva comodo all’Occidente in chiave anti Urss.
Vorrei dilungarmi a parlare degli Armeni, del loro “spirito” e della profonda umanità. Questa rubrica, però, è dedicata all’Europa e quindi le loro sofferenze servono come materia da mettere sulla bilancia per valutare se sia possibile l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea. Il problema non è di facile soluzione, anche a causa dell’esiguo numero di stati che hanno riconosciuto ufficialmente il genocidio. Il non riconoscimento, ovviamente, non scaturisce dall’ignoranza, ma dal “pragmatismo opportunistico”.
È chiaro che tutto sarebbe più semplice se la Turchia rompesse gli indugi e facesse davvero i conti con la propria storia, togliendo dall’imbarazzo “gli stati amici”. Purtroppo così non è. In Turchia, addirittura, si rischiano fino a tre anni di carcere se si parla di “genocidio armeno”. Bene ha fatto la Francia, pertanto, varando una legge che in galera manda i “negazionisti”. Sarebbe opportuno che anche gli altri Stati seguissero il suo esempio.
Sono agghiaccianti le argomentazioni addotte dai turchi per “negare” ciò che è testimoniato da migliaia di foto, da riprese video e dai ricordi dei sopravvissuti. La morte di migliaia di persone durante le deportazioni, che loro chiamano “trasferimenti”, non può essere considerata “genocidio” perché in parte si è provveduto a eliminare i “filo-russi” (la Russia sosteneva la causa armena per l’ottenimento dell’indipendenza) e tanti sono morti di “fame e di freddo”. Commenti non servono e consiglio a tutti la visione del bellissimo film dei Fratelli Taviani, “La masseria delle allodole”>, nonché dei tanti documentari reperibili in rete e un altro stupendo film, “Ararat”, diretto da Atom Egoyan, per “entrare” nel cuore del genocidio e rendesi conto di quanta ferocia sia stata riversata su una comunità pacifica e laboriosa.
Tutto ciò premesso, resta il dilemma se un popolo debba pagare o no il fio per il comportamento dei propri governanti. Ho sempre sostenuto che le grandi decisioni storiche debbano prescindere dalla realtà contingente, destinata a mutare. In Turchia, però, non è ancora possibile scindere il pensiero dei governanti (tra i quali, è bene ricordarlo, vi è un vice-ministro che ritiene non sia lecito, per le donne, ridere in pubblico e utilizzare troppo il cellulare; che tutti dovrebbero votarsi alla castità; che televisione e media mostrano troppo sesso) da quello della maggioranza del popolo, che registra ancora un netto “ritardo” nell’acquisizione dei più elementari principi di democrazia. Con questi presupposti, e per altre ragioni non meno valide e non menzionate in questo articolo, acquisiscono maggiore valenza, almeno per ora, le tesi di chi è contrario all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea.

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