70 anni dopo la Liberazione: chi ricorda le vittime delle bombe alleate?
A settanta anni dal 25 aprile 1945 che sancì la Liberazione in pieno clima celebrativo resistenziale, è giusto rivolgere un pensiero anche ai tanti italiani morti a causa dei bombardamenti alleati. Si tratta di vittime (nella foto in alto Treviso bombardata nell’aprile del ’44) che la memoria storica del dopoguerra ha posto ai margini nell’immaginario “eroico” riservato ai soli partigiani. Nomi, numeri, volti che non volentieri vengono citati nei discorsi istituzionali perché occorrerebbe ammettere, con onestà intellettuale, che la guerra di liberazione ci è costata parecchio, in termini di vite umane innocenti. In pratica il paradosso è il seguente: nel rendere omaggio ai soldati alleati che hanno combattuto contro il nazifascismo bisogna rendere omaggio anche a coloro che hanno bombardato in lungo e in largo l’Italia per la sua liberazione?
Il libro di Volpe sulle vittime delle bombe alleate
Parte da queso interrogativo scomodo la ricerca di Pompeo Volpe (25 aprile, celebrazione della totale liberazione del territorio italiano? Cleupp, pp. 152, euro 15) sulle vittime delle incursioni aeree anglo-americane tra storia, memoria e rimozione. Pompeo Volpe è un intellettuale curioso, un idealista di sinistra, in gioventù iscritto al Pci, ex sindaco di Mira, con un rigoroso senso interiore di equità che lo ha già condotto a testimonianze scomode, come la sua ultima pubblicazione Negli anni di piombo a Padova (2013) in cui si sofferma sulle violenze dell’Autonomia nell’università di Padova anche e soprattutto a danno di chi da sinistra contrastava l’idea della violenza rivoluzionaria dei compagni di Toni Negri.
Oltre 70mila italiani morti nella guerra di Liberazione
Volpe spiega che, secondo dati Istat, “le vittime italiane provocate dai bombardamenti anglo-americani sono state circa 70mila tra il 1940 e il 1945, due terzi delle quali dopo l’8 settembre 1943″. Una cifra peraltro sottostimata (alcuni storici parlano di centomila vittime). Ma chi erano queste vittime? È su questo punto in particolare che la ricerca storiografica alterna due interpretazioni opposte: vittime della fatalità della guerra o vittime incolpevoli del terrorismo bellico angloamericano? Alla mancata risposta definitiva a questo dilemma – che poi è più semplice di quanto possa sembrare visto che illustri storici hanno riconosciuto il carattere del tutto politico dei bombardamenti che non avevano finalità militari – deve aggiungersi la “narrazione egemonica” del 25 aprile incentrata sui massacri dei civili da parte dei nazifascisti. Spetta alle classi dirigenti antifasciste il demerito, dunque, di avere del tutto oscurato le migliaia di vittime della guerra di liberazione.
56 città italiane insignite di medaglie al valor civile
La riprova, scrive Volpe, sta nel fatto che su 56 città italiane insignite di medaglie al valor civile per le perdite sofferte a causa dei bombardamenti aerei solo nelle motivazioni di undici di questi comuni si fa riferimento a chi operò i bombardamenti stessi. Il tutto si accompagna alla scomparsa di queste vittime dal lessico istituzionale legato al 25 aprile. Nel dopoguerra quindi, con la complicità della Dc schierata nella guerra fredda dalla parte degli Usa, del Pci che aveva come finalità l’esaltazione della Resistenza e grazie alla condivisa narrazione antitedesca imperniata sulle stragi naziste del biennio 1943-45 ci si è dimenticati che città grandi e piccole, prima di essere liberate, furono anche pesantemente bombardate. “L’immagine del soldato alleato liberatore – scrive Volpe – si è affermata a scapito di quella inopportuna dell’aviatore alleato che bombarda e mitraglia”. Nel libro l’autore cita a un certo punto Italo Calvino: “Le vittime nella morte sono uguali, è nella storia che si dividono“. La cattiva coscienza dei vincitori ha indotto alla rimozione delle vittime dei bombardamenti alleati in nome di un’identità post-bellica che doveva ruotare, per imposizione dall’alto, sulla “vittoria” della guerra di liberazione e sulla data del 25 aprile. Ma la storia si prende sempre le sue rivincite e pone interrogativi che a settant’anni di distanza non sono più eludibili.