“Buona scuola” per chi? Rampelli usa la matita blu per gli errori di Renzi
«In questi giorni, il presidente del Consiglio, tra lo stupore degli italiani che pensavano ci fosse qualche piccolissima emergenza cui dedicarsi con maggiore efficacia, ha trovato il tempo di scrivere agli insegnanti, fortunatamente ha scelto di non farlo uno per uno», inizia così l’intervento di Fabio Rampelli (guarda video) nell’aula di Montecitorio alle prese con l’esame della riforma della scuola, che ha accusato Renzi di aver snobbato i corpi intermedi e ha acceso i riflettori sui movimenti, le associazioni di genitori, studenti, sindacati di ogni specie e colore politico che si sono ritrovati in piazza, «una piazza oceanica, anzi, tante piazze stracolme di persone in ogni angolo dello stivale». Provate a immaginare– incalza provocatorio – cosa sarebbe capitato se il Presidente del Consiglio di un governo guidato dal centrodestra avesse scritto a ciascun insegnante ignorando i corpi intermedi e le loro preoccupazioni: deriva plebiscitaria, rischio totalitarismo, aggressione all’autonomia scolastica, pasticcio istituzionale.
Tutti gli errori della “buona scuola”
«Caro presidente Renzi, visto che scrive una lettera ai professori, dedicandogli anche un video di 20 minuti, noi scriviamo una lettera a lei. Anzi, per estensione, alla sua famiglia», continua Rampelli leggendo una lunga missiva che affronta i nodi decennali e irrisolti del pianeta scuola. «Gentilissimo signor Matteo e gentilissima signora Agnese, non ve la prenderete se scriviamo a entrambi, non tiriamo in ballo la signora per i legami di parentela ma unicamente per il suo ruolo d’insegnante, precaria fino a giugno e poi stabilizzata in seguito alla nota sentenza della Corte europea», inizia la lettera che passa in rassegna il dramma dell’edilizia scolastica (la scuola italiana, da qualche decennio, ha un problema serio: cade a pezzi) che avrebbe meritato un provvedimento ad hoc, la smania dei ministri dell’Istruzione che si sono succeduti al governo di diventare famosi, sulla pelle della scuola e di mettere il proprio nome in calce a una riforma, e tutti i nei della “buona scuola” di Renzi a partire dalle nuove mansioni dei dirigenti scolastici «che vengono caricati di ulteriori responsabilità tra cui quella di assumere e licenziare dal proprio istituto gli insegnanti». Un difetto che si è voluto riparare peggiorando le cose: «infatti non sarà solo il preside sceriffo a decidere la sorte degli insegnanti, ma un apposito comitato di cui fanno parte insegnanti, genitori e studenti… Il caos». Per non parlare del violato art. 33 della Costituzione sulla libertà d’insegnamento e l’universo sterminato di precari mai risolto con determinazione. «Il precariato è la dimostrazione di avere avuto governi e ministri inadeguati che hanno creato dal nulla una graduatoria di insegnanti con la legittima aspirazione a essere assunti in ruolo, per poi coccolarli e tenerli in graticola. Ci si lavori con serietà e senza pregiudizi, evitando di essere travolti dai ricorsi, all’italica maniera, per aver adottato mostruose sperequazioni tra lavoratori di una medesima categoria.
La buona scuola? Non è quella di Renzi
«Ecco perché questo testo è un’accozzaglia, non ha organicità, non è carne né pesce, non vira verso la scuola aziendalista come avrebbero voluto gli estensori del progetto, chiaramente ispirati da questa tentazione e poi subito pronti a fare mezzo passo, ma solo mezzo, indietro. Non ha una visione, non s’incardina in una prospettiva. Per noi la scuola è una comunità educante, non sarà mai un’azienda, l’efficienza si misura nel risultato formativo che non prevede solo progressioni nozionistiche e nemmeno preparazioni tecnicistiche. Per noi la scuola è identità, capacità di preservare ciò che di diverso e profondo ci contraddistingue e di trasmetterlo alle generazioni future con la giusta dose di modernizzazione. È la civiltà occidentale con il suo bagaglio di valori e di bellezze. Per noi la scuola è bellezza, dei numeri di Archimede e Pitagora, dei versi di Leopardi e D’Annunzio, delle magie dialettiche di Dante Alighieri, dell’impareggiabile creatività di Marconi e Meucci, del tratto morbido di Giotto e Cimabue, della velocità ruvida – che plasma la materia – di Balla e Boccioni, dello stoicismo di Marco Aurelio e del diritto romano, del Medioevo, del Risorgimento, del Rinascimento, del Razionalismo. Quest’occidente egoista, ci piaccia o meno, nasce da qui, da Roma e da Atene, da Socrate e Platone e diventa un turbine, un focolaio di passioni con Nietzsche, Marx, Marcuse e la filosofia del martello. Nostro compito è anche dare un’anima alla scuola». «Le parole comunità e identità in questo testo, lungo decine di pagine e di articoli, non compaiono mai. Per voi la scuola è tecnocratica, per noi no. Sono la comunità e l’identità a sintetizzarsi con i nuovi linguaggi e con l’evoluzione della società. Non è mai il contrario. La scuola non è uno spinello, né una tirata di coca. La riduzione del danno, che non funziona nemmeno nella lotta alle droghe, fallisce di fronte alla sua grandezza.Volevate volare alti, ma senza tensione interiore l’uomo è tirato giù dalla forza di gravità. Solo chi osa vola».