Un forte vento di destra spira in Europa. L’Italia non può rimanere al palo
La destra vince ovunque in Europa. In Gran Bretagna, l’affermazione di Cameron ha assunto le dimensioni del trionfo: con 331 seggi su 650, i Tories possono da oggi governare da soli, senza scendere a patti con nessun’altra forza politica. In Francia, la destra non governa, ma è in travolgente rimonta. L’Ump di Sarkozy è di nuovo il primo partito. E il suo vero competitor è un altro partito di destra: il Front National di Marine Le Pen. Al di là delle Alpi si confrontano due destre: la sinistra di Hollande è in crisi profonda e pare destinata a una crescente marginalità. In Germania è stabilmente al governo la Cdu di Angela Merkel e anche lì i socialisti sembrano ormai fuori dai giochi. In Spagna governa dal 2011 il popolare Mariano Rajoy. E qui finiscono le gioie. Anzi, diciamo per l’esattezza che i motivi di conforto politico si fermano alle Alpi. Perché, una volta entrati nella Pianura Padana, cominciano i dolori. L’Italia è purtroppo in controtendenza. Ma non tanto e non soltanto perché oggi governa il Pd, quanto per il fatto che, al momento, non si vede all’orizzonte una competitiva alternativa di destra. E sono purtroppo in molti a vaticinare un radioso avvenire a Renzi, il quale coltiva pure l’ambizione di fondare un partito della nazione. È bravo e spregiudicato Renzi? E chi lo nega? Ma è non solo merito suo. È anche demerito di un’area, quella di centrodestra, frammentata, rissosa, incapace di lavorare a progetti di lungo respiro, come ci racconta l’amara cronaca politica di questi mesi, dalla Puglia al Veneto.
Il rammarico è forte. Perché mai come in questa fase storica ci sarebbero le condizioni favorevoli per stabilire una lunga egemonia di destra sulla vita politica italiana. E invece l’egemonia se la sta conquistando la post-sinistra alla “fiorentina” di Matteo Renzi. Dopo l’approvazione dell’Italicum la paura fa novanta. E ciò ha spinto Berlusconi a lanciare l’idea di un “partito repubblicano” come il Grand Old Party della dinastia Bush. L’idea non ha riscosso al momento entusiatici consensi dagli altri soggetti teoricamente interessati. E il motivo è semplice: magari bastassero una nuova sigla e un nuovo marchio per risolvere i problemi del centrodestra riunendone le anime (oggi disperse) in un unico grande, moderno e competitivo contenitore. Le unioni forzose non funzionano nella vita privata, figuriamoci in politica. Servirebbe che tutti i soggetti del centrodestra si riunissero intorno a un tavolo e si parlassero seriamente, senza complessi, senza rancori, senza retropensieri, senza coltivare velleitari sogni di egemonismo e personalismo. È un pio desiderio? Lo sarà pure. Ma altra strada non c’è. E allora, ragazzi (o ex ragazzi), datevi al più presto una mossa!