Ecco i 5 motivi che nella sfida pugliese danno ragione a Fitto e torto al Cav
Esistono almeno cinque ragioni per dare ragione a Fitto e non a Berlusconi. Eccole:
1) Il Cavaliere ripropone oggi un partito sul modello americano del repubblicano Gop (Grand old party) in grado di riunificare tutti i moderati e le forze alternative alla sinistra. Bene, ma dovrebbe prima spiegare perché solo due anni fa si è voluto disfare del PdL sostenendo la necessità di tornare a Forza Italia per «riprendere la battaglia liberale». C’entra forse l’Italicum?
2) Proprio la nuova legge elettorale, tuttavia, costituisce il secondo punto debole di Berlusconi, che prima l’ha concordata con Renzi in ossequio al cosiddetto patto del Nazareno, poi ne ha avallato la modifica – letale per il centrodestra – sull’attribuzione del premio di maggioranza (alla lista e non più alla coalizione) salvo poi accusare il premier di «deriva autoritaria». Al contrario di lui, Fitto l’ha sempre avversata.
3) Lo stesso discorso vale per le riforme costituzionali: convintamente votate da Forza Italia con annesse pubbliche e reiterate lodi alle virtù renziane, dopo l’elezione di Mattarella al Quirinale si sono trasformate per Berlusconi in una sorta di male assoluto da scongiurare a colpi di ostruzionismo e persino di improvvisati “aventini” parlamentari in combutta con grillini e minoranza pd. Fitto invece si ritrovò praticamente da solo a sostenere la necessità di una tenere posizione meno sbracata di fronte a Renzi
4) Sulle elezioni regionali pugliesi, Fitto si era limitato a chiedere la ricandidatura degli uscenti nonché l’inserimento in lista di amministratori e di persone elettoralmente forti per accrescere le possibilità di vittoria del centrodestra in quella regione. E ciò nonostante gli fosse stato provocatoriamente comunicato a mezzo stampa il nome dell’oncologo Francesco Schittulli quale candidato a presidente e nonostante soli pochi giorni prima un promoveatur ut amoveatur aveva portato alla nomina di un nuovo coordinatore regionale, Luigi Vitali, a dir poco a lui ostile.
5) Al di là di qualche caduta di stile dello stesso Schittulli nei confronti della Forza Italia ufficiale, la reazione di Berlusconi che ne è scaturita – la candidatura di Adriana Poli Bortone in contrasto con il suo partito, FdI-An, rimasto leale all’oncologo – ha lasciato chiaramente capire che il vero scopo del Cavaliere consisteva ormai nel regolare una volta per tutte i conti con l’ex-pupillo e non più nel portare la coalizione alla vittoria. Prova ne sia che il Cavaliere è sceso in Puglia solo per annunciare che il «traditore» Fitto «è fuori dal partito».
La conclusione è amara: un partito incapace di reggere una posizione politica per più di 24 ore ma capacissimo di mettere all’indice chi lo fa notare non può essere liberale né può incarnare modelli democratici. E poiché arriva sempre il momento in cui una verità va detta fino in fondo, è appena il caso di ricordare che un partito dove tutto può essere cambiato tranne che il leader, più che a Washington, dovrebbe guardare a Pyongyang.