No-Tav come le prime Br: attentati in nome della continuità con i partigiani
Anche le Brigate Rosse iniziarono così a cavallo degli anni 70. Attentati a raffica. In nome della continuità con i partigiani e con la lotta partigiana. Poi si sa come è andata a finire. Dagli attentati ai sequestri, dai sequestri agli omicidi, dagli omicidi alle stragi. Ma la storia – e anche la cronaca – evidentemente non insegna nulla a questa gente. E così 46 anni dopo ecco i nipotini di quelli che hanno ammazzato centinaia di persone risvegliarsi emuli di Pertini al suono di “Bella ciao” e sognare una nuova rivoluzione a colpi di attentati. «Bolzano 25 aprile. Sei bottiglie nel Frecciargento interno al deposito della stazione. In ricordo dei sabotaggi partigiani. Libertà per i compagni in carcere. Ciao Guccio. Non sempre la fortuna aiuta gli audaci», recita il testo apparso sul sito “Informa Azione, controinformazione e lotta alla repressione“, un sito di riferimento dell’area No-Tav, per “rivendicare” il tentato attentato incendiario al treno Frecciargento lo scorso 25 aprile in stazione a Bolzano.
Rivendicato l’ordigno No-Tav sul treno in nome dei partigiani
L’ordigno era composto da due sacchi di rifiuti contenenti cinque bottiglie di plastica da un litro e mezzo piene di benzina e una sesta bottiglia con benzina, diavolina e fiammiferi. Alcune stelle filanti luminose, che di solito si usano sugli alberi di Natale, dovevano servire da miccia. Solo per un caso l’innesco non ha funzionato. La fiamma delle stelle filanti luminose si è infatti spenta prima di raggiungere il mix esplosivo. Complessivamente nove litri di benzina potevano causare danni rilevanti.
Sulla veridicità del contenuto della missiva indaga la Procura e si vedrà nei prossimi mesi di chi è lo zampino. Ma il pensiero corre inevitabilmente e veloce alle decine di attentati ai treni e alle stragi alle stazioni: da Bologna all’Italicus, dal 904 alle decine e decine di ordigni disseminati lungo i binari con i quali negli ultimi cinquant’anni l’Italia è stata costretta a fare i conti. Piangendo migliaia di morti.
Decine di armi dei partigiani finirono nelle mani delle Br
Come non ricordare le prime armi con cui le Br crearono le proprie armerie. Venivano dalla lotta partigiana. E non per caso. Alberto Franceschini, che fra il 69 e il 70 creò le Brigate Rosse assieme a Renato Curcio e a Mara Cagol ricorda bene quei rapporti di convenienza e di comunanza ideologica e operativa fra i terroristi e i partigiani. Racconterà serenamente nel 1990 di quelle due pistole che un ex-partigiano gli aveva regalato al momento di passare alla clandestinità. Una delle due pistole, rivela l’ex-brigatista, la puntò alla tempia del dirigente Siemens Hidalgo Macchiarini durante la prima azione delle Br, il sequestro del dirigente. Rammenta Franceschini, sempre nel 1990, la sua visita a un deposito di armi messo in piedi dai partigiani vicino Reggio Emilia, in campagna, con una quarantina di mitra Sten che funzionavano alla perfezione oltre vent’ anni dopo il 25 aprile. E non è un caso che nel 1982, durante un’irruzione in un covo brigatista, spuntarono due mitra Sten provenienti da questi depositi alle porte di Reggio Emilia.
C’era, in quella scelta, prima ancora che una necessità operativa una voluta continuità ideologica con i nonnetti partigiani che tutt’oggi, invece di prendere le distanze, continuano a soffiare sul fuoco marciando spesso a braccetto nelle manifestazioni No-Tav con i pronipoti esaltati e bombaroli.