“Ti mando un bacio”, il romanzo dei padri in crisi in cerca di redenzione
Senza scomodare Camille Paglia e la sua teoria sull’estinzione del maschio come suicidio della civiltà, è possibile ritrovare nel romanzo opera prima del giornalista Niccolò Zancan i tratti distintivi di una decadenza inarrestabile. Il romanzo, avvincente e fluido, s’intitola Ti mando un bacio (Sperling & Kupfer), messaggio-simbolo di quattro padri ai figli, quattro uomini che sono andati in corto circuito per circostanze avverse della vita che non hanno saputo gestire.
Genitori e padri vittime di un naufragio esistenziale
Quattro maschi sfortunati e soli. Dan Martini, Marco Fournier, Sergio Mendes e Cris Vena. I figli sono il loro specchio, dove si riflette la loro immagine, che può essere assolta o condannata, o anche andare distrutta a causa di una promessa mancata. C’è amore tra questi padri fragili e le loro creature, che assistono impotenti ai naufragi genitoriali. Ma il sentimento che li lega non sembra sufficiente ad appagare ansie accresciute dalla crisi. Tutti e quattro, infatti, sono assai esauriti per colpa di una recessione che inghiotte come sempre i pesci piccoli, magari i più avventati, quelli che hanno rischiato in proprio e non ce l’hanno fatta.
Le donne sono comparse cattive, c’è spazio solo per i figli
A parte essere amici tra di loro, i quattro papà protagonisi di Ti mando un bacio sono personaggi solitari e sfiduciati. Le donne nella loro vita sono comparse cattive e liquide, la loro sfera emotiva è totalmente pervasa dal pensiero dei figli. La figlia di Dan che vuole i soldi per andare a Londra, quelli di Marco che aspettano un padre distratto dall’amante per vedere la partita, quello di Sergio che è preda di assistenti sociali perfide e indifferenti, e poi le figlie di Cris, che sono belle e intelligenti e supportano il loro sfortunato padre nel ruolo di “mammo” (l’unico che cerca di darsi da fare per cambiare in meglio un destino poco roseo). C’è anche spazio per l’avventura nell’intrecciarsi di queste storie di amore e solitudine (una rapina mancata, un tentativo di suicidio) ma l’approdo finale resta sempre lo stesso, il solo e unico antidoto che riesca a funzionare: ritrovare serenità in un affetto saldo, sincero, capace di bucare il grigio del quotidiano. La redenzione di questi padri abbattuti comincia da qui. E se l’obiettivo verrà colto lo dirà, magari, un secondo libro.