Veneziani: «Noi sul Piave per ricordare che l’Italia non è nata il 25 aprile»
«Vogliamo ricordare che l‘Italia non è nata il 25 Aprile del ’45 ma molto, molto prima». È tutto pronto per la grande manifestazione sul Piave che rappresenta la prima “uscita” culturale di Marcello Veneziani nel ruolo di direttore scientifico della Fondazione Alleanza Nazionale. In viaggio verso i luoghi della Grande Guerra, che saranno teatro di convegni, ricordi, riflessioni profonde sul futuro, Veneziani sottolinea il valore dell’iniziativa prendendo atto della «solitudine» con la quale ci si accinge a ricordare questa pagina di storia. Soprattutto dopo che il Parlamento si è dimostrato sostanzialmente sordo al suo invto ad istituire una giornata per commemorare la prima guerra mondiale, così come è stato fatto per i 70 anni della Resistenza.
Veneziani, con quale spirito andiamo a Brada di Piave il 24 maggio?
Andiamo sul Piave innanzitutto per ripartire dall’idea dell’identità nazionale, non solo per ricordare la nostra entrata in guerra, ma soprattutto per verificare e riflettere sul cosa resta, sul cosa vive di quella esperienza determinante per la nostra storia e se dal valore di questa pagina possa nascere una speranza, un progetto. Questa giornata non vuole solo, quindi, rappresentare un “monumento al Milite ignoto”, ma vuole essere una giornata viva, di riflessione. Si vuole commemorare la nascita di una nazione che vide una mobilitazione popolare senza precedenti e un rito di sangue che fu un’ecatombe. Ricordare quel centenario significa ripensare l’Italia, riproporre il tema dell’identità nazionale nello scenario presente e proiettarsi a pensare il futuro.
Non sembra però che questo centenario “scaldi i cuori”, se lo confrontiamo con i rituali roboanti che hanno accompagnato poche settimane fa le celebrazioni sulla Resistenza, non trova?
Assolutamente sì. Prendiamo atto che sul Piave andiamo da soli: l’iniziativa della Fondazione Alleanza Nazione coinvolge quegli italiani da sempre sensibili a una certa idea di Patria e arriva soprattutto dopo l’ubriacatura del settantennale della Resistenza, accompagnata da atti solenni e imponenti pronunciamenti. Ebbene, noi siamo lì perché vogliamo ricordare che l’Italia non è nata il 25 aprile del 1945, ma l’identità nazionale si è formata molto prima. Eppure dei 100 anni della Grande Guerre non se ne ricorda più nessuno, non se ne sente parlare nei luoghi che contano, non ho sentito alcun discorso di commemorazione degno di questo nome. Sta passando sotto traccia che un popolo intero si sia dedicato alla Patria, pagando con la vita. Ecco la nostra solitudine…
Non pensa che sia molto grave il silenzio delle istituzioni?
Sì, è molto grave. Qualche giorno fa ho lanciato dal Corriere della Sera un messaggio, un invito al Parlamento ad istituire una giornata in ricordo della Grande Guerra.
Risposta?
Silenzio più assoluto. Per questo acquista più significato la nostra iniziativa, tesa a ripartire dall’Italia, dalla comunità italiana. La Fondazione ha per questo voluto chiamare a raccolta le matrici culturali e civili del nostro essere italiani.
Una prospettiva che potrebbe dare una spinta propulsiva alla ricomposizione del mondo della destra?
Me lo auguro. Questa manifestazione non si concluderà qui, nel senso che da settembre partiremo con una serie di iniziative in 100 città “a cercar la bella Italia”, per così dire. Il discorso culturale che vogliamo far partire da questa iniziativa è un discorso pre-politico ma sicuramente può dare un contributo importante al ricostituirsi di un cemento indennitario.
Veneziani, la nostra identità è minacciata?
Sì, è minacciata: dall’alto, con la colonizzazione messa in atto dalle realtà burocratiche finanziarie e culturali; dal commercio dei Paesi asiatici che ci sta tagliando fuori; e dal basso, con i flussi migratori inarrestabili a cui stiamo assistendo. Ecco perché voliamo essere lì, sul Piave. Anche in solitudine.