Arturo Michelini, il segretario che fece uscire il Msi dall’isolamento

15 Giu 2015 15:54 - di Antonio Pannullo
Arturo Michelini a una Tribuna politica nel 1960

Oggi, a quasi mezzo secolo di distanza dalla scomparsa di Arturo Michelini, che fu segretario del Movimento Sociale Italiano dal 1954 al 1969, anno della sua morte, avvenuta il 15 giugno, è forse possibile tracciare un ritratto del suo articolato progetto politico, che fu sempre frettolosamente archiviato come “moderato” e “conservatore”, in opposizione alle politiche definite “rivoluzionarie” e “movimentiste” dei suoi nemici politici Giorgio Almirante, in un primo tempo, e Pino Rauti, che a causa di Michelini addirittura abbandonò il Msi nel 1956, non accettando la politica dell’inserimento nel sistema propugnata dal politico fiorentino. In realtà, le cose stanno un po’ diversamente: Michelini, soprannominato “il ragioniere”, non solo per la sua professione, che era quella di assicuratore, ma anche per un certo modo di vedere la politica, fascista proprio non lo fu mai: non risulta l’iscrizione al Partito nazionale fascista, anche se ricoprì la carica di vice federale della capitale, né prese parte alla Repubblica Sociale Italiana, cosa che gli fu spesso rinfacciata da chi invece l’aveva fatta. Ma ad Arturo Michelini non si poteva certo imputare la mancanza di coraggio, perché nel 1938 partì volontario per la guerra di Spagna, e durante la Seconda Guerra Mondiale fece parte dell’Armir, il corpo di spedizione italiano in Russia, guadagnandosi una Medaglia d’Argento al Valore e quattro croci al Merito. In realtà secondo altre fonti, Michelini sostenne la Rsi. In ogni caso, dopo la guerra si unì al variegato mondo dei combattenti e reduci della Repubblica, favorendo l’unione dei moltissimi gruppi che si erano formati: è ormai storia il fatto che il 26 dicembre del 1946, nello studio del padre Renato, in via Barberini, fu fondato il Movimento Sociale Italiano. All’epoca via Barberini era conosciuta dai romani come via Regina Elena, ma nel 1945 fu intitolata a Giovanni Amendola. Solo successivamente prese il nome attuale.

Michelini fu tra i primi sei eletti del Msi alla Camera nel 1948

Michelini fece parte della prima storica pattuglia dei sei deputati eletti dal Msi nel 1948, e rimase alla Camera per cinque legislature, ossia fino al 1969. Dal 1946 al 1954, anno in cui fu eletto segretario del partito, Michelini, insieme ad Augusto De Marsanich ricoprì il ruolo fondamentale di amministratore del Msi, riuscendo anche, da uomo concreto e pragmatico qual era, a ottenere finanziamenti da parte di industriali simpatizzanti e persino dalla Confindustria. Come si è detto, all’inizio non andava d’accordo con Almirante, ma nel corso degli anni i due si apprezzarono sempre più, tanto che agli ultimi congressi Almirante favorì la rielezione di Michelini alla carica di segretario. Era invece spesso appoggiato da Pino Romualdi. Michelini, moderato e conservatore nazionalista, portò sempre avanti oltre che l’anticomunismo, anche il filo-atlantismo, ma non il filo americanismo. Sognava una strategia di inserimento, anche un’alleanza con la Dc, tutto pur di far rientrare il mondo del ventennio del gioco della politica e soprattutto di far uscire il Msi dall’isolamento in cui i vincitori l’avevano confinato. E qualche volta vi riuscì: diversi governi e diversi presidenti della Repubblica ebbero i voti nel Msi, «non graditi e non richiesti», come disse in un famoso intervento il presidente del Consiglio Dc Adone Zoli, ma in realtà quei voti erano sempre richiesti riservatamente e concessi sottobanco. Zoli tra l’altro fu colui che permise alle spoglie di Benito Mussolini di riposare a Predappio dove oggi si trovano. Il cammino di Michelini fu bruscamente interrotto dai cosiddetti fatti di Genova del 1960, quando il Pci organizzò a freddo una guerriglia urbana, nel corso della quale ci furono anche delle vittime, non solo a Genova ma in molte parti d’Italia, per impedire che vi si svolgesse il Congresso del Msi, che in effetti non ebbe luogo. La scusa era che Genova era una città Medaglia d’Oro della resistenza, ma era davvero una scusa: il precedente Congresso del Msi di Milano, altra città Medaglia d’Oro della resistenza, si svolse nella massima tranquillità, così come in molte altre città prima e dopo Genova. La verità era che il Pci voleva far cadere il governo Tambroni, eletto con i voti del Msi, e ridimensionare una volta per tutte i “fascisti” nella loro marcia di inserimento nelle istituzioni. Cosa che per la verità andava bene anche alla Dc, che si sentiva costantemente minacciata da questa forza crescente alla sua destra. Una scusa bella e buona, perché la stessa amministrazione comunale del capoluogo ligure era retta con i voti di tre mssini, e manifestazioni dell’estrema destra in città si erano già svolte. Così iniziò la ghettizzazione del Msi, la cui seconda fase vi fu nel 1972, dopo il successo elettorale della fiamma tricolore di Almirante. Si racconta di concitate telefonate tra Michelini, in albergo a Genova, e il premier Tambroni, a Palazzo Chigi a Roma, per cercare di far svolgere egualmente il legittimo Congresso del Msi. Ci furono trattative, fu proposta Nervi, ma dopo le minacce comuniste l’albergo che avrebbe dovuto ospitare le assise ritirò la disponibilità, così il Pci l’ebbe vinta.

Michelini soteneva che «il Msi non è custode di un museo, ma una forza viva e moderna»

Michelini non si arrese: lui sosteneva che il Msi non era il custode di un museo, ma l’avanguardia di un progetto politico utile all’Italia. Riteneva di incarnare i valori onesti dei benspensanti, dei moderati, dei conservatori, dei nazionalisti. Il pugile Nino Benvenuti ricordò una volta che Michelini lo raggiunse a New York in occasione del suo incontro con Emile Griffith del 1967 e che abbracciandolo gli disse: «Nino, vinci per l’Italia!». Era così Michelini: pur tenendo moltissimo alla legge e all’ordine, spesso andava personalmente nei ocmmissariati e nelle questure per sollecitare il rilascio dei giovani missini fermati durante movimentate proteste di piazza. A detta di molti, fece poi un errore nel 1968, in occasione della contestazione giovanile, ma lui fece solo quello che alla fine era coerente con il suo pensiero di sempre: legge ordine, sicurezza, e poi quella contestazione era «pilotata dai comunisti», e non era il solo missino a pensarla così. Nel 1969, com la sua prematura morte, il partito elesse Almirante segretario, sei mesi dopo Rauti e gran parte di Ordine Nuovo rientrarono nel partito accogliendo l’appello di Almirante «a tutti i camerati», ma il Msi non riuscì ancora a uscire dal ghetto. Neanche Michelini aveva saputo compiere l’impresa, pur se vi era andato davvero vicino. Bisognerà attendere il 1994 per andare al governo di questa nazione.

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