Non solo “ruspa”: Salvini ha stravinto dimostrando di essere uomo di coalizione
L’aveva annunciato Matteo Salvini: «Domenica cambierà tutto». E così è stato: “stravittoria” in Veneto, Lega Nord primo partito del centrodestra sia dove è andato in coalizione con Forza Italia, e sia dove ha sfidato anche il Cav e soci – col patto stretto con Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia -, diventando secondo partito in Toscana (dal 2 al 16%) e seconda coalizione nelle Marche. Tradotto: è boom, o qualcosa di simile. È la Lega dell’era Salvini: da forza regionalista si è situata adesso al centro dell’opposizione da destra a Matteo Renzi; da partito delle Alpi a partito “nella” Nazione.
Salvini, le vittorie esterne e interne
Ne ha fatta di strada “l’altro Matteo” che con il voto di questa domenica ha completato il processo di affermazione della sua Lega 2.0: dal 6,2 “shock” alle Europee al 13% e più di queste Regionali. Sono diversi i motivi per cui il leader del Carroccio può cantare vittoria. Prima di tutto si è aggiudicato il “referendum” del Veneto, lì dove doveva «stravincere» per dimostrare di tenere nonostante la secessione-scissione di Flavio Tosi (arrivato solo quarto, dietro anche il candidato dei 5 Stelle) e nonostante le sirene che un anno fa avevano consegnato al Pd lo scettro di primo partito nel Veneto. La regione-traino del “modello NordEst” è stata sotto i riflettori in queste settimane: qui si giocava un’idea di centrodestra (Lega al centro senza Angelino Alfano), una scommessa personale di Salvini contro l’ex rivale interno e una conferma di buona amministrazione (e quindi di credibilità in chiave di governo) targata Luca Zaia. Si giocava qui, dunque, la stessa tenuta della leadership di Salvini, dato che tutti – amici, nemici, osservatori – avevano indicato proprio in Veneto il risultato minimo per il Carroccio in queste elezioni.
L’apertura ai programmi e alle primarie
In verità è successo qualcosa di più. Salvini si è affermato, infatti, nelle “primarie” ufficiose del centrodestra. La sortita storica di Giovanni Toti in Liguria è avvenuta – come ha spiegato lo stesso vincitore – grazie al sostegno del Carroccio che ha raggiunto il 20% e trascinato letteralmente l’ex direttore dei Tg Mediaset alla conquista della Regione. In Veneto, di converso, Forza Italia con il suo 6% si è rivelata non determinante rispetto al risultato di Zaia e, più in generale, è un dato come la Lega ha surclassato gli azzurri al Nord e al Centro: sarà difficile, con questi risultati, che Silvio Berlusconi possa rivendicare il ruolo “esclusivo” di federatore che fino a qualche ora fa si autoassegnava nella definizione della compagnia di viaggio che dovrà sfidare Renzi. Allo stesso tempo, però, il leader della Lega – rinunciando all’autosufficienza e aprendo alle primarie sui programmi – ha dato alcuni segnali di distensione e di pragmatismo agli altri soggetti del centrodestra. Salvini ha dimostrato di sapere essere governista, sfidando il pregiudizio e una certa sottovalutazione. Esponenti politici e politologi si sono affannati in questi mesi a sentenziare che «la destra della Lega non può vincere», che il “lepenismo” del Carroccio avrebbe sancito una marginalità di fatto del partito come avvenuto con il Front National nonostante i risultati a due cifre. Come è andata invece? Se in Veneto ha riconfermato l’esistenza di una roccaforte, in Liguria il leader leghista ha dimostrato – sacrificando un dirigente locale molto integrato e apprezzato come Edoardo Rixi – di saper cedere in una logica di coalizione. Cedere per vincere e affermarsi con un consenso altissimo rispetto alle percentuali basse ottenute dall’altro da sé Angelino Alfano (tra il 2%) in Liguria e in Umbria.
La Lega ha vinto anche dove ha perso
La Lega in un certo senso ha vinto anche laddove ha perso. I risultati importanti conquistati in solitaria in Toscana con Borghi e nelle Marche con Francesco Acquaroli sanciscono l’esistenza di un “secondo forno”, di un asse, quello con Giorgia Meloni (che in queste Regionali ha ottenuto un buon risultato con alcuni picchi degni di attenzione), che può rappresentare con l’Italicum una proposta sovranista che ha argomenti da spendere all’interno della coalizione o – in caso estremo – potrebbe addirittura trasformarsi in una lista a sé. La Lega e il suo leader si sono affermati anche nella battaglia del linguaggio. “Ruspa”, “basta invasione”, “basta tasse”, “Ue gabbia di matti”. Un breviario che è diventato paradigma sul quale si è confermata la capacità performante dell’“altro Matteo” nell’epoca della disintermediazione. Un frasario che ha convinto perché ha determinato, appunto, un’agenda politica. Neo di una “domenica bestiale” per Matteo Salvini è stato però il Sud. In Puglia, la regione in cui il Carroccio si è misurato nel Mezzogiorno, il risultato è stato al di sotto delle aspettative: se è vero che si partiva da un 0,6, il 2,3% ottenuto da “Noi con Salvini” – all’interno di uno scontro fratricida tra le destre che ha di certo disorientato l’elettorato – conferma come ancora la linea dell’Ofanto non sia stata ampiamente superata. Questo, assieme al gentlemen’s agreement – ribattezzato così dal ministro della Lega al Sud Raffaele Volpi – di non presentare un candidato e una lista alternativi a Caldoro in Campania, rappresenta uno dei nodi da sciogliere se l’intenzione di Salvini è il confronto “nazionale” contro Matteo Renzi. Chi conosce bene il centrosud spiega che storicamente questo elettorato ha sempre richiesto alla destra una capacità di elaborazione di cui oggi tutta la coalizione presenta un grave deficit. Per questo motivo la piattaforma dell’altro Matteo dovrà con tutta probabilità trovare una ricetta inedita anche per il Sud.
Antonio Rapisarda