Privacy, ora il Pd si scopre garantista: basta gogna mediatica, via i nomi

23 Giu 2015 14:24 - di Paolo Lami

Ha attraversato tutte le stagioni “manettare” del centrosinistra e ha fatto parte di tutte le sigle più spregiudicate che hanno fatto dell’uso (e dell’abuso) della magistratura come strumento di lotta politica la propria prassi: Popolari, Ulivo, Margherita, Pd.
Antonello Soro, ex-democristiano passato armi e bagagli a sinistra, conosce molto bene il giustizialismo in tutte le sue declinazioni. E ha vissuto da protagonista la stagione delle grevi paginate contro Silvio Berlusconi, delle intercettazioni spiattellate sui giornali, delle sputtanate urbi et orbi del Cavaliere vomitate dalle corazzate mediatiche del centrosinistra, Repubblica e L’Espresso in prima fila.
Terminato il lavoro sporco, spazzato via (s’illude la sinistra) Silvio Berlusconi screditato all’estero, assieme all’Italia, fra l’ilarità trash e sguaiata dei salotti radical chic, ora il Pd si scopre, improvvisamente garantista. E, con il Pd, si scoprono garantisti anche i suoi uomini. Intendiamoci: Antonello Soro si è già mondato. Nominato (dal Centrosinistra) Garante della Privacy si è appiccicato addosso questa etichetta di garantista gettandosi alle spalle gli eccessi di una stagione che, a ben guardare, ha sputtanato più gli sputtanatori che il Cavaliere.
E, dunque, dalla poltrona privilegiata su cui Soro sta assiso, ora l’ex-dem può degnarsi di guardare benignamente il mondo e perfino l’ex-odiato avversario dei suoi (molti) partiti.
Succede così che nella consueta Relazione al Parlamento (che lo ha nominato su quella poltrona), Soro possa ora tuonare, ritenendosi perfino legittimamente credibile, contro gli eccessi del giustizialismo manettaro e dello sputtanamento mediatico-giudiziario dell’avversario politico.

Il garantismo a intermittenza del Pd sulla Privacy

Iconica è l’immagine dell’ex-demo/dem che parla alla platea – in prima fila a spellarsi le mani un altro giustizialista (tardivamente) pentito, anzi il re degli giustizialisti pentiti, Luciano Violante – e, alle spalle, due commessi in alta uniforme e guanti bianchi. Se la forma è sostanza, il messaggio è chiaro. D’altra parte il sipario bordeaux alle spalle di Soro fa tanto teatrino della politica.
E dunque, via all’autodafé. Il concetto, tirato all’osso, è: basta sputtanati sui giornali, basta nomi gettati in pasto all’opinione pubblica. La sfacciataggine del Centrosinistra su questi temi,  fino a pochi giorni fa allegramente calpestati, si misura bene dalle parole della procace Elena Maria Boschi, garantista a intermittenza e figlia di quel Pd arrivato al potere utilizzando proprio certi metodi: «Mi è sembrato interessante – osserva la dem botticelliana a margine della presentazione della relazione alla Camera – l’invito al Parlamento e al governo ad intervenire per mettere a punto una disciplina più moderna e più attenta sul rapporto tra il diritto all’informazione e il diritto alla riservatezza dei soggetti coinvolti nelle indagini». Intonacata in un severo saio beige, la vestale della democrazia Laura Boldrini annuisce con l’espressione grave, dimentica di quello che è stato il ruolo di Sel, il suo partito, nello sputtanamento delle persone sui giornali. Accanto a lei un altra icona del giustizialismo manettaro Pd, Sergio Mattarella. O, forse, il suo alter ego cartonato.

Lo “stupore” di Soro per le violazioni della privacy sulle indagini

Serve «un riequilibrio nei rapporti tra esigenze investigative, informazione e riservatezza, in un contesto di generale mediatizzazione della giustizia» si accalora Soro che torna sul tema intercettazioni e in particolare sui rischi di «gogna» che confonda «il doveroso esercizio del diritto di cronaca con il sensazionalismo». Chissà se suocera intende…
Il rispetto del principio di essenzialità dell’informazione, ricorda Soro sapendo già che la sua relazione finirà ad incartare il pane, viene «infranto dalla divulgazione (spesso anche in violazione del regime di pubblicità degli atti investigativi sancito dal codice di rito) di ampi stralci o, addirittura, della versione integrale di atti d’indagine (interrogatori in carcere, intercettazioni), funzionali a soddisfare la curiosità del pubblico ma non reali esigenze informative rispetto al procedimento. Il tutto con danno, spesso irreparabile, per i terzi – anche minori, talora vittime del reato – la cui esistenza viene in tal modo messa a nudo e riversata in rete, anche per sempre».
Soro rivendica di aver già «rappresentato al governo la necessità di un riequilibrio nei rapporti tra esigenze investigative, informazione e riservatezza, in un contesto di generale mediatizzazione della giustizia. Il coinvolgimento a qualsiasi titolo in un procedimento non può, infatti, divenire la ragione, di per sé sufficiente, per esporre la parte o il terzo a una gogna che confonda il doveroso esercizio del diritto di cronaca con il sensazionalismo». Di qui l’auspicio che «Parlamento e governo vogliano farsi carico di quest’esigenza, coniugando gli aspetti della correttezza e lealtà dell’informazione e della riservatezza nelle indagini, nel rispetto del principio di proporzionalità tra privacy e mezzi investigativi ribadito, anche recentemente, dalla Corte di giustizia».
Ma il fatto stesso che Soro debba ripetere il pippone già fatto l’anno precedente la dice lunga sulla reale volontà del Parlamento e del governo di intervenire.

Il Garante della Privacy: via i nomi dalle sentenze online

L’ex-dem chiede anche di garantire «sinergia tra privacy e trasparenza» nelle sentenze pubblicate online, in particolare deindicizzandole, cioè sottraendole dai motori di ricerca, e oscurando i nomi pur riconoscendo che «la pubblicazione sul web di dati preziosi, quali quelli ricavabili da una sentenza e dai princìpi che vi sono affermati è, infatti, indubbiamente più “democratica”, perché raggiunge, potenzialmente, tutti i cittadini, mettendo a disposizione un patrimonio informativo importante. Ma questa facilità nell’accesso – straordinaria risorsa per i singoli e le istituzioni – è anche – sostiene Antonello Soro – paradossalmente, la più grande fonte di rischio delle pubblicazioni online, suscettibili di indicizzazione, riproduzione decontestualizzata, alterazione, e per questo in alcun modo assimilabili alle pubblicazioni cartacee».
Di qui la proposta di deindicizzare le sentenze dai motori di ricerca generalisti, «così da coniugare il principio della pubblicità del processo – e del suo atto conclusivo – con la riservatezza dei soggetti a qualunque titolo coinvolti», ma anche di oscurare «i nomi presenti».
Invariabilmente, poi, il discorso scivola sul terrorismo e sulla necessità di garantire la sicurezza dei cittadini e, al contempo, la loro privacy. Un ossimoro.
«Dobbiamo contrastare la ricorrente tentazione di considerare le libertà civili come un lusso che non ci possiamo permettere di fronte alla minaccia terroristica» dice Soro che invita ad evitare le «raccolte massive di dati» per proteggere la sicurezza. Un discorso da vero democristiano, l’apoteosi del cerchiobottismo.
Per il Garante della Privacy, «il modo migliore per difendere la nostra sicurezza è proteggere i nostri dati» ed «evitarne raccolte massive, limitando “la superficie d’attacco” per un terrorismo che sempre più si alimenta della rete per passare dallo spionaggio informatico alla concretissima violenza delle stragi». Per Soro, «un’efficace prevenzione del terrorismo dovrebbe dunque selezionare – con intelligenza, appunto – gli obiettivi sensibili in funzione del loro grado di rischio e fare della protezione dati una condizione strutturale di difesa dalla minaccia cibernetica, come abbiamo sottolineato anche al Comitato Schengen».

Le violazioni della Privacy dei lavoratori volute dal governo Renzi

Altro tema caldo, anzi caldissimo, è quello relativo alla tutela della privacy dei lavoratori visto che il decreto del Jobs Act, ora all’esame delle Camere, consente ai datori di lavoro di spiare i dipendenti. Quel decreto dice Soro a Renzi e agli uomini di governo del suo stesso partito, deve impedire «forme ingiustificate e invasive di controllo» dei lavoratori, «nel rispetto della delega e dei vincoli della legislazione europea», evitando «una indebita profilazione delle persone che lavorano».
«È auspicabile che il decreto legislativo all’esame delle Camere – dice Antonello Soro – sappia ordinare i cambiamenti resi possibili dalle innovazioni in una cornice di garanzie che impediscano forme ingiustificate e invasive di controllo, nel rispetto della delega e dei vincoli della legislazione europea. Un più profondo monitoraggio di impianti e strumenti non deve tradursi in una indebita profilazione delle persone che lavorano. Occorre sempre di più coniugare l’esigenza di efficienza delle imprese con la tutela dei diritti».
Soro non fa in tempo a chiudere i lavori che la Boldrini interviene pro domo sua auspicando una stretta dei controlli su web. Un vecchio pallino della monaca di Montecitorio che l’ha giurata a quanti la prendono di mira quotidianamente sulla Rete e sui Social. Chi vuole la libertà sul web esiga l’introduzione dei principi è il monito minaccioso della Boldrini. Che ha già disegnato nella sua testa la strada sulla quale far camminare il provvedimento restrittivo:  ora si punta «a chiudere il lavoro in Commissione» di una bozza di regolamentazione che è stata preparata. «Ho fiducia – dice – che entro il mese prossimo la Dichiarazione assuma forma definitiva, per diventare nel successivo passaggio in aula un atto di indirizzo che impegni il governo a promuovere in tutte le sedi internazionali i principi contenuti nella Carta e a sostenere la necessità di definire una cornice di tipo “costituzionale”». Un concetto perfino stalinista della libertà.

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