Atac, Zingaretti umilia Marino: ci mette i soldi, ma lo costringe a scusarsi

24 Lug 2015 17:09 - di Redattore 89

È una ammissione di colpa su tutta la linea quella di Ignazio Marino sulla questione Atac. Dopo aver incontrato il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, il sindaco di Roma tiene una conferenza stampa dai toni umilianti, che dovrebbe avere un’unica conseguenza logica: le dimissioni. Invece, a Marino manca anche questo scatto d’orgoglio e sull’altare dei fallimenti della sua giunta offre la testa dell’assessore ai Trasporti, Guido Improta, che peraltro va dicendo da tempo di volersene andare.

Le scuse ai romani e ai turisti

«Intendo scusarmi con i cittadini e i turisti per i disagi inaccettabili nel nostro trasporto locale», ha detto Marino, chiedendo poi ai cittadini di «fare uno sforzo epocale insieme» e rivolgendo un appello simile anche ai lavoratori e ai sindacati del trasporto. «Stiamo impostando un cambiamento non facile», ha aggiunto, precisando che «il percorso probabilmente non sarà così immediato come vorremmo». Un discorso che forse sarebbe stato adeguato a un inizio mandato, ma che invece arriva nel pieno della consiliatura e all’apice di una escalation di disservizi e disagi nei quali l’amministrazione ha colpe politiche così evidenti che lo stesso sindaco non ha potuto negarle.

Un piano di risanamento fallimentare

«Siamo davanti a una situazione drammatica per i trasporti urbani di Roma dal punto di vista della qualità di vita dei cittadini, della qualità dei servizi e dei conti di Atac», ha proseguito Marino, ammettendo che il suo piano per l’azienda «non ha non è riuscito a produrre quel risanamento che serviva». «Abbiamo trovato una situazione che non si può che definire di bancarotta e di un indebitamento insostenibile», ha detto ancora il primo cittadino, sostenendo che «l’unica alternativa era quella di chiudere Atac, portando oggi i libri in tribunale e avviando una procedura di fallimento che avrebbe causato una profonda insicurezza per i posti di lavoro e messo radicalmente a rischio il servizio».

Zingaretti ci mette i soldi e Marino finisce “crocifisso in sala mensa”

Dunque, un fallimento politico e amministrativo senza precedenti quello ammesso da Marino, le cui ripercussioni sulla città sono state tamponate dall’intervento della Regione. L’operazione costerà alle casse della Pisana 301 milioni di euro, che saranno erogati entro il 30 settembre, mentre a Marino è costata una sorta di “crocifissione in sala mensa” degna del miglior tragico Fantozzi. Epperò qui c’è poco da ridere, visto che si parla del sindaco della Capitale d’Italia. Il Comune, da parte sua, ci metterà altri 200 milioni, in beni e liquidità. Marino l’ha definita una «scelta», ma anche dietro questa misura sembra esserci una precisa, pressante richiesta di Zingaretti: «Ho scelto la nuova ricapitalizzazione – ha detto Marino – condividendo la decisione con Nicola Zingaretti».

Il sindaco sconfessa se stesso: via il “suo” Cda Atac

E un’altra decisione vantata da Marino è stata quella di «cambiare il cda di Atac e di allontanare tutti i dirigenti responsabili delle inefficienze». Ma questo Cda era stato nominato sotto la sua giunta, esattamente due anni fa: il 24 luglio 2013. E lui, Marino, aveva salutato il nuovo management dicendo che «la scelta di questa amministrazione è stata quella di affidarsi a persone competenti, capaci di agire nel segno della trasparenza, della definizione di politiche industriali sostenibili, e nell’interesse dei cittadini e dei lavoratori». Oltre al cambio al vertice, poi, ad Atac è richiesto di «cercare un partner industriale mantenendo la maggioranza pubblica». Anche questo deciso «insieme a Zingaretti». «Abbiamo dato mandato all’azienda di scrivere un piano industriale vero e forte per indire la gara, in questo modo anticipiamo l’avvio di un processo nazionale che impone di non gestire più il servizio in house a partire dal 2019», ha spiegato Marino, ribadendo che era l’unica possibilità per sventare il fallimento. Quello dell’Atac, perché il suo, invece, è più conclamato che mai.

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