Al grido “via i clandestini”, Trump fa il pieno negli stadi: «L’America mi ama»
Il ciclone-Trump inizia a fare paura: il businessman repubblicano che si candida alla Casa Bianca riscuote sempre più successo. E a innervosirsi di più sono proprio i suoi colleghi repubblicani. «Dobbiamo fare qualcosa sugli immigrati illegali», ha affermato in un comizio in Alabama. Tra l’altro, l’evento elettorale previsto per in un centro comunale da 4mila posti a Mobile è stato spostato all’ultimo momento in uno stadio con una capienza da 43mila persone per poter accogliere la folla attesa. «Non sono un politico», ha aggiunto Donald Trump rivolgendosi alla folla e riscuotendo grande entusiasmo. Quello che Trump intende fare è una vera e propria guerra agli immigrati illegali, con un muro anti-clandestini ai confini con il Messico e deportazioni. Donal Trump su questo delicatissimo e sensibile argomento torna a fare la voce grossa: «Se sarò presidente mi amerete per mie politiche al riguardo», afferma rivolgendosi agli americani, e annunciando una battaglia per respingere tutti i decreti del presidente americano Barack Obama a favore della legalizzazione degli illegali nel Paese. «Costruiremo un muro, sarà forte, solido e presidiato dalla polizia. Ci sarà una porta, grande e bella, per chi può entrare legalmente nel Paese», spiega l’aspirante candidato dei repubblicani per le presidenziali dell’anno prossimo. L’immigrazione è un tema caro al magnate, su cui ovviamente ha ricevuto molte critiche dalle solite anime belle della sinistra Usa e non solo. Trump è stato attaccato per aver definito i messicani «trafficanti di droga e stupratori» e questa affermazione gli è costata il “licenziamento” dalla Nbc e dallo show ideato e condotto da lui stesso sulla rete, The Aprentice. Alla dure polemiche non sono seguite scuse. Anzi, ha ribadito più volte le sue affermazioni, conquistando soprattutto i potenziali elettori del sud degli Stati Uniti. E soprattutto salendo nei sondaggi nonostante le gaffe.
Trump vuole costruire un muro al confine col Messico
La politica di Trump sull’immigrazione è basata su tre pilastri: ”una nazione senza confini non è una nazione”, ”una nazione senza leggi non è una nazione” e ”una nazione che non serve i suoi cittadini non è una nazione”. L’obiettivo, sottolinea, deve essere quello di «migliorare i posti di lavoro, i compensi e la sicurezza per tutti gli americani». Il muro con il Messico deve essere pagato dallo stesso Messico, aggiunge, premendo anche sull’inasprimento delle sanzioni nei confronti di chi entra nel Paese con un visto e poi rifiuta di uscire. L’obiettivo di una seria riforma dell’immigrazione è – secondo Trump – quella di tutelare la classe media, «distrutta da decenni di accordi commerciali e politiche sugli immigrati sbagliate». Insomma è nervosa questa fine d’estate per i repubblicani negli Stati Uniti. L’exploit di Donald Trump ha colpito nel segno: ormai davanti al fatto compiuto che no, non è un fenomeno passeggero, politici navigati come strateghi di nuova generazione si affannano a ricomporre un puzzle che sfugge di mano. E anche l’altrimenti misurato Jeb Bush, ormai ex frontrunner dell’affollato campo Gop, non regge alla tensione e perde le staffe. Il terzo Bush che aspira alla Casa Bianca ha risposto con stizza all’incalzare dei giornalisti, come mai prima d’ora aveva fatto. E proprio sul tema immigrazione, diventato particolarmente scottante dopo le uscite sopra le righe di Trump, che Bush esplode quando lo si accusa di aver utilizzato una espressione offensiva nei confronti degli immigrati. In un’intervista radiofonica, Bush aveva menzionato i cosiddetti anchor babies, ovvero come vengono definiti da alcuni i bimbi fatti nascere negli Stati Uniti da immigrati illegali affinché venga riconosciuta al nascituro la nazionalità americana. Un giornalista gli ha fatto notare che l’espressione è giudicata offensiva e lui questa volta ha reagito: «Avete un termine migliore? Datemi un termine migliore e io lo uso». E dire che lo aveva menzionato con riferimento proprio a Donald Trump, che nei giorni scorsi ha evocato l’ipotesi di superare il 14° emendamento della Costituzione, che riconosce il diritto di cittadinanza a chi nasce sul suolo americano. Sintetizza bene la situazione l’ex governatore del New Jersey, Thomas H. Kean, al Washington Post: «Nessuno ha capito come gestire Trump. Tutti lo hanno terribilmente sottovalutato dal primo giorno. Ma da uno che lo conosce, assicuro, è stato un errore». Il “Donald nazionale” è ormai campione di populismo e se ne vanta, mentre riempie le sale. Anzi gli stadi adesso.