A Marino resta solo la poltrona. E lui dice: «Bene, sono soddisfatto»
Marino riemerge dal mare trasparente dei Caraibi. E si rimmerge nella melma di Mafia Capitale. Lo fa, naturalmente, con un tuffo da lontano. Come lontano è stato, finora, da Roma Capitale mentre gli zingari del clan Casamonica s’impossessavano della città con carrozze, cavalli ed elicotteri. E mentre il governo Renzi decideva il suo destino di sindaco. Se c’è uno che è impermeabile a (quasi) tutto, questo è Ignazio Marino. Schiaffeggiato da destra e sinistra ha adottato la strategia dello struzzo. La testa sotto la sabbia calda dei Caraibi e quello che succede succede.
Dopo settimane di tuoni metaforici sulla Capitale ha piovuto. Non la tempesta Katrina che tutti si aspettavano per mondare la città dalla vergogna di Mafia Capitale che ha travolto mezza giunta Marino finita in carcere o ai domiciliari. Ma neanche quella pioggerellina leggera leggera che avrebbe risparmiato il sindaco. Marino è stato messo sotto tutela dal suo compagno di partito Renzi al termine di un Consiglio dei ministri memorabile. Non potrà fare un passo senza l’assenso di Franco Gabrielli. Non potrà prendere alcuna decisione autonoma. Di fatto il chirurgo dem, considerato dal suo stesso partito una specie di mina vagante, di impresentabile parente da non esibire quando vengono gli ospiti a casa, sarà un burattino di legno di cui Franco Gabrielli e Renzi tireranno i fili. Loro decideranno, lui sarà costretto ad eseguire. Un sindaco radiocomandato. Il suo raggio d’azione sarà, più o meno, quello di un condannato con la palla di piombo al piede.
In queste condizioni chiunque avrebbe avuto un sussulto, un colpo di reni dettato dalla dignità. Marino no. Ha incassato la legnata sulla schiena come se fosse una carezza. E poi ha parlato: «Sono soddisfatto per le decisioni che arrivano dal Governo: si è tolta dal tavolo l’ipotesi dello scioglimento del Campidoglio e le parole di Alfano spazzano via i rumors sul commissariamento», fa sapere dall’aldilà il fantasma di Marino.
Impermeabile allo sconfessamento, urbi et orbi, del suo operato, Ignazio pesca dal linguaggio contorto della politica per dire tutto e non dire niente: «La collaborazione tra Campidoglio e Governo è un elemento di ricchezza e di sicurezza di grande importanza». In Marinese la parola “commissariamento” si traduce con “collaborazione”.
«Mi hanno fatto piacere – recita con una faccia di bronzo di indefinibile caratura – le parole del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, che ci danno la certezza che Roma e l’Italia sono in grado di affrontare questo impegno e di poterlo fare con capacità e successo».
«Si è chiarito – azzarda sovvertendo le conclusioni delle indagini del procuratore capo Pignatone – che le infiltrazioni mafiose che hanno inquinato l’amministrazione durante la consiliatura di Alemanno hanno incontrato un muro di discontinuità con la mia giunta. Abbiamo trascorso due anni a snidare e colpire il male perché è il bene della città la stella polare del mio lavoro e di quello di tutta la mia giunta». Giunta decapitata dagli arresti per Mafia Capitale e travolta dalla maxi inchiesta della Procura di Roma: in tanti, tra assessori e consiglieri comunali, sono stati costretti ad abbandonare il colle capitolino inseguiti dagli ordini di cattura e davi avvisi di garanzia. Chi in manette, chi si è dimesso perché indagato o sfiorato dalla maxi inchiesta. Il primo a lasciare è stato Daniele Ozzimo, Pd, assessore alla Casa, ora ai domiciliari dopo essere stato arrestato a giugno 2015 in quella che è stato il secondo atto della Procura. Insieme a lui è finito in manette l’ex-presidente dell’assemblea capitolina Mirko Coratti, anche lui in quota Pd.
In carcere finiscono anche Massimo Caprari, 45 anni capogruppo e unico esponente di Centro democratico – partito della maggioranza del sindaco-chirurgo – e Pier Paolo Pedetti, 42 anni, altro democrat che ricopriva il ruolo di presidente della commissione capitolina Patrimonio. Arrestato anche Andrea Tassone, Pd, presidente del Municipio X, quello di Ostia e del litorale. Lascia anche il consigliere dem Francesco D’Ausilio e, dopo pochi giorni, il vicesindaco Luigi Nieri in quota Sel annuncia le sue dimissioni irrevocabili. Un disastro, una Caporetto per Marino. Che fa finta di nulla.
«La mia amministrazione è determinata – recita – in stretta collaborazione col Presidente del Consiglio Renzi e con il Governo, a realizzare tutto ciò che servirà alla buona riuscita del Giubileo, guardando con fiducia agli impegni che ci attendono e che rispetteremo».
Su tutto la ciliegina finale: «Abbiamo avviato il risanamento e lo proseguiremo fino in fondo, in stretta collaborazione col prefetto Franco Gabrielli, una collaborazione seria e leale, già in atto da mesi e allacciata fin dall’inizio del suo mandato». Un pluralis maiestatis che mal si concilia con il commissariamento di Marino. Sarà Gabrielli a decidere qualsiasi cosa. Marino può anche restare ai Caraibi. La sua presenza a Roma è, praticamente, inutile.