La Destra può ripartire ma faccia i conti con l’esperienza berlusconiana

23 Set 2015 15:25 - di Carlo Ciccioli

Ventun’anni dopo la discesa in campo di Silvio Berlusconi occorre che la Destra, con serenità e senza polemiche, faccia un bilancio politico del ruolo e dei risultati portati a casa con l’alleanza con il titolare di Mediaset. Cominciamo dagli aspetti positivi: Berlusconi ha rotto l’incantesimo, la destra poteva andare al governo e di fatto finiva il lungo dopoguerra antifascista. La sinistra invece poteva andare ai margini, come mai era accaduto all’epoca dell’egemonia democristiana. Sulla politica estera l’Italia poteva avere un ruolo non subalterno, ma di leadership, dal Medio Oriente alla Russia, dall’America alla Cecenia, dalla Libia alla Cina, alle relazioni europee. Così come i nostri imprenditori potevano avere all’estero un’attenzione che raramente avevano avuto in passato.

La Destra e Berlusconi

Ma andiamo ai danni: cominciamo dalla Giustizia, dove la necessità del Cavaliere di difendersi dall’assalto spregiudicato della magistratura l’ha costretto a fare leggi favorevoli alla propria tutela, che però si sono rivelate il varco attraverso il quale la criminalità, diffusa e non solo, agisce sostanzialmente impunita. Un malintenzionato può compiere reati a ripetizione e il giorno dopo l’arresto esce, in attesa di giudizio, continuando la sua opera in reati contro il patrimonio, la sicurezza delle persone e la pubblica fede: in pratica una licenza di impunità permanente. I tempi della giustizia lo colpiranno quando è sparito all’estero o quando per motivi diversi si è redento. In pratica si è persa la sicurezza: nel programma futuro della destra occorre tornare a “legge e ordine” di Nixon e “tolleranza zero” di Rudolph Giuliani, il garantismo in epoca di invasione extracomunitaria e predazione della pubblica amministrazione è da ridimensionare, insieme allo strapotere politico della Magistratura.  Secondo: Berlusconi ha sempre evitato di far crescere una classe dirigente politica vera puntando all’utilizzo disorganico delle individualità, per gestire favorevolmente tutti nel più variegato dei modi . Questo ha determinato l’assoluta insufficienza di una visione organica della società. Berlusconi ha privilegiato la gestione dei problemi del momento, a cui talvolta ha dato anche buone risposte, ma senza il respiro del medio e lungo periodo. Le soluzioni erano sempre “ora e qui”, senza pensare che il tempo é lungo e si dispiega in anni e decenni di risultati. Sull’altare di queste scelte é stata sacrificata la classe dirigente che faticosamenente, il Movimento Sociale prima e Alleanza Nazionale poi, avevano costruito ed era un patrimonio prezioso per la politica.

La Destra, il nodo della classe dirigente

Terzo, non é mai esistito un livello vero di confronto politico all’interno neppure con i suoi. In una prima fase esistevano personaggi capaci di elaborare un progetto: mi riferisco dal punto di vista culturale a persone come Urbani, Colletti, Del Debbio, Martino, Pera, ma anche a politici di razza, magari provenienti dalla vecchia Dc o dal Partito Socialista, ma che comunque avevano competenza politica, cioè sapevano fare il loro mestiere. Andresti mai da un medico, da un avvocato o da un ingegnere senza esperienza? Assolutamente no, ognuno cerca per sé il più esperto. Invece scegliere personaggi anche di alto profilo, ma senza politica, ha lasciato spazio a chi dall’altra parte, a sinistra e non solo, sapeva far politica, rinunciando noi a costruire i fondamentali della pubblica amministrazione e del consolidamento futuro. Un grave danno di lungo periodo, cioè la desertificazione della politica a destra. L’idea del “ghe pensi mi” è stata devastante perché nessuno, in una società complessa come quella attuale, riesce ad arrivare a tutto, neanche se può prelevare personale e risorse dalle aziende, dai comparti delle attività produttive o dal mondo della comunicazione e dello spettacolo, che comunque sono soggetti che hanno una visione molto parziale della politica. Quarto, ma non ultimo, il luogo centrale delle decisioni importanti, dalle crisi di governo alle alleanze alle nomine negli Enti e nel governo, di fatto non passavano mai da un vertice politico, ma da un comitato ristretto formato da Gianni Letta, Fedele Confalonieri, Ennio Doris, i figli Marina e Piersilvio, Adriano Galliani, e fino a poco tempo fa Salvatore Dell’Utri; o per altre decisioni più di “cucina interna”, come le candidature elettorali, in un cerchio magico con personaggi singolari, che sono andati da Denis Verdini a Maria Rosaria Rossi, per citarne due per tutti. Un discorso a parte meriterebbero i contenuti e la debolezza dell’impostazione culturale rispetto alle politiche avversarie, ma questo é un altro capitolo, tutto da scrivere. Non facciamoci fare le analisi politiche per noi , per quanto lucide, da Ernesto Galli della Loggia, da Paolo Mieli, da Mario Calabresi o dagli altri intellettuali di altre culture.

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