Facile per la Merkel fare la buonista: c’è differenza tra profughi e rifugiati…
Profughi, è ancora caos in Ungheria. Il premier ungherese Viktor Orban non si è lasciato convincere dall’esempio tedesco e austriaco, e nel putiferio di scontri, fughe, caos, torna ad alzare i toni e ad intervenire – anche con spray urticanti – contro i profughi e contro l’Europa, a cui è tornato a lanciare moniti e preoccupanti previsioni: «Si chiudano le frontiere o arriveranno a milioni», ha tuonato allora nelle scorse ore il primo ministro ungherese. Ma la nuova cortina di ferro che sta erigendo al confine meridionale con la Serbia non ferma la marea di profugi arrivata e in procinto di arrivare.
Profughi, è ancora caos in Ungheria
I migranti dal canto loro sono tornati ad occupare ingenti spazi della città e a forzare i blocchi al grido di «lasciateci andare»: nulla, né agenti, né barriere, sembrano poter fermare la marcia sulle autostrade. In tanti vengono inseguiti, bloccati, riportati nei campi, ma tanti altri riescono a fuggire tra i campi. Nei pressi di Roszke, l’ennesima «grande fuga»: complice la notte, a centinaia sono riusciti a rompere la morsa degli agenti e vagano nei campi di granturco, tentando di raggiungere a piedi una stazione, per dirigersi poi a Budapest, e quindi volgere vero l’Austria o la Germania, le nuove terre promesse dei popoli in fuga. Le mete di una diaspora epocale che sembra non poter più essere arginata. ma le autorità ungheresi non mollano: e per esempio, alla stazione ferroviaria di Szeged la tenaglia è scattata già da 48 ore: a nessuno è permesso lasciare la cittadina se non in possesso della «carta» di identificazione della polizia: chi non ce l’ha, viene consegnato alla polizia alla stazione successiva. Drammatica la situazione a Rozske. Nel “centro di identificazione” provvisoriamente allestito in uno spiazzo di terra circondato da campi di granturco, in aperta campagna, decine di volontari ungheresi e austriaci che portano generi di prima necessità e medicinali. «Temiamo ci sia anche qualche caso di tubercolosi», dice un attivista prima di inoltrarsi nel campo per distribuire gli aiuti. Tutta l’area è presidiata in forze dalla polizia ungherese in tenuta antisommossa. Molti profughi che oltrepassano un varco nei pressi dei binari di una ferrovia, a due passi dagli operai che stanno ultimando la costruzione del muro di cemento e filo spinato, decidono di tornare indietro. Altri tentano di evitare la polizia sparpagliandosi a gruppetti nei campi di granturco. L’obiettivo è sempre lo stesso, e i migranti disseminati sul territorio ungherese lo ribadiscono a più voci: «Non vogliamo rimanere qui, vogliamo andare in Austria o Germania»…
Tra rifugiati e migranti economici
Intanto nell’“Eden teutonico” a cui ambisce la massa di migranti bloccata in Ungheria, la macchina tedesca, messa in moto nel weekend, è partita. E un’Angela Merkel in versione buoinista – quella poco credibile e che sta facendo infuriare i partner europei – rinfrancata risposta popolare ottenuta all’apertura dei confini ai migranti in arrivo dall’Ungheria, ringrazia e incoraggia la cittadinanza, alternando nelle sue uscite pubbliche propaganda e spirito umanitario racchiusi in due formule: «Ce la facciamo» e «dobbiamo farcela». Mentre la Repubblica federale organizza la prima accoglienza per migliaia e migliaia di richiedenti asilo, mettendo sul tavolo 6 miliardi, la cancelliera ostenta fiducia e ottimismo: il fenomeno migratorio che viviamo in questi giorni «impegnerà la Germania anche nei prossimi anni e cambierà il Paese. Dobbiamo fare in modo che questo cambiamento sia positivo. E integrarli al meglio». Già, ma la mappa degli arrivi è a dir poco diversificata e varia decisamente da paese a paese. Certo, la maggior parte dei richiedenti asilo in Europa arriva da Siria, Afghanistan, Eritrea e Nigeria. Solo che siriani ed afghani entrano soprattutto da Grecia e Ungheria passando dalla Turchia, mentre eritrei e nigeriani sbarcano in Italia dalla Libia: e le situazioni che si generano sono di segno diametralmente opposto. Insomma, ha ragione da vendere la cancelliera a parlare per i profughi siriani arrivati in Germania, di integrazione e di possibili sviluppi positivi ingenerati dall’arrivo di profughi siriani; diverso è il caso invece dell’Africa subsahariana che sta aggredendo da anni le nostre coste, minando la sicurezza di città e piccoli centri costretti all’accoglienza coatta e a una difficile convivenza dal nord al sud del Bel Paese. Insomma, il divario che separa le diverse realtà che riguardano rifugiati e migranti economici apre uno squarcio inquietante e di difficile gestione, tanto che la Commissione Ue sta mettendo a punto una lista dei Paesi di origine «sicuri» – cioè dove la situazione interna non da diritto a chiedere asilo in Europa – che permetterà di identificare più in fretta quali siano i migranti economici da rimpatriare. Ne faranno parte Macedonia, Turchia e Montenegro, Paesi che hanno lo status di “candidati” all’adesione all’Ue. A questi si aggiungeranno Kosovo, Serbia, Albania e Bosnia-Erzegovina (che hanno lo status di “candidati potenziali”). Nel primo trimestre del 2015 delle 32.810 richieste di asilo presentate in Ungheria il 70% erano di kosovari, più in fuga dalla povertà che non da persecuzioni. Col supporto di questo elenco, Bruxelles stima di poter velocizzare la valutazione delle richieste di asilo, riducendola, in alcuni casi, anche a cinque giorni: il massimo consentito dalla normativa Ue è di sei mesi. Nella lista, almeno in questa fase, non sono previsti invece i Paesi nordafricani come Marocco o Tunisia.