Scandalo a Roma: c’è un manifesto contro le adozioni gay. E Marino sbrocca
Si è messa immediatamente in moto, a Roma, la macchina della censura: nel giro di poche ore la giunta Marino ha assicurato la rimozione di manifesti giudicati omofobi dal gay center. «L’amministrazione capitolina è impegnata nel contrastare qualunque forma di manifestazione omofoba e continuerà nella sua battaglia per i diritti e l’educazione al rispetto», ha commentato l’assessore alla Comunicazione e alle Pari opportunità Alessandro Cattoi, esprimendo «la più ferma condanna dei manifesti contro le famiglie con genitori omosessuali».
Dici che «i bambini non si comprano»? Sei omofobo
La presa di posizione del Campidoglio è arrivata subito dopo che il portavoce del gay center di Roma, Fabrizio Marrazzo, ha bollato i manifesti in questione come «discriminanti», «vergognosi», chiara espressione di «gruppi estremisti che vogliono attaccare i gay». Ma cosa dicevano di così inaccettabile questi manifesti? Una cosa che, per la verità, non è nemmeno tanto originale e che fa tornare alla mente la Filumena Marturano di Edoardo De Filippo, quando nella scena madre della commedia ricorda che «i figli non si pagano». Qui, gli estensori del manifesto, ci ricordano che «i bambini non si comprano» e, dichiarando il loro «no alle discriminazioni», «all’utero in affitto» e «al matrimonio e alle adozioni gay», avvertono che «la cosiddetta “stepchild adoption” prevista dal disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili consentirà alle coppie omosessuali di procurarsi e adottare un bambino». «Noi diciamo no», è l’ultima frase del manifesto, che anche nella grafica e nella rappresentazione di una famiglia gay non presenta alcun accento offensivo.
Il gay center chiede e la giunta Marino si scopre efficiente
Si tratta dunque di un manifesto che si limita a esprimere in maniera assolutamente civile un’opinione, per altro piuttosto diffusa tra gli italiani e non solo tra i presunti «gruppi estremisti che vogliono attaccare i gay» cui fa riferimento il gay center. Semmai da questa vicenda emergono almeno due dati che dovrebbero far preoccupare molto più di certi “al lupo, al lupo”. Il primo è tutta l’intolleranza dei gendarmi del pensiero unico, per i quali è inaccettabile che esistano opinioni altre. Fra questi – l’episodio romano ce lo ricorda con nettezza – vanno annoverate le voci più radicali della comunità Lgbt, le quali tra l’altro finiscono solo per irrigidire le posizioni su temi che invece andrebbero trattati prima di tutto all’insegna del buon senso. Il secondo è tutta la remissività di una classe politica che, pur di assecondare i diktat di alcuni gruppi di pressione, perde completamente il senso della realtà e dei bisogni della comunità che rappresenta. Comunità che, nel caso dei cittadini romani, non disdegnerebbe di vedere su servizi di base come il trasporto, la pulizia, la sicurezza almeno la metà dell’efficienza dimostrata sulla rimozione dei manifesti contro la stepchild adoption.