Ucciso da “professionisti armati” Al-Maskhout, il boss degli scafisti libici

26 Set 2015 14:43 - di Paolo Lami

Colpo di scena nel “business” della tratta dei migranti. Il principale boss degli scafisti responsabile del traffico di esseri umani a Zuwara, in Libia, Salah Al-Maskhout, ex-ufficiale dell’esercito libico nell’era Gheddafi, è stato ucciso ieri a Tripoli insieme a 8 suoi miliziani. Al-Maskhout che controlla buona parte degli scafisti libici è stato ucciso da 4 uomini armati, probabilmente “professionisti“, secondo il Libya Herald.
Salah Al-Maskhout è stato sorpreso dal team di killer professionisti che lo ha freddato mentre stava lasciando la casa dei parenti nei pressi del Centro Medico di Tripoli ed era pesantemente scortato da un drappello di guardaspalle e gorilla ma non è servito a nulla quando la squadra di 4 uomini armati hanno isolato la strada affrontando il gruppetto. Ne è nata una sparatoria fra i due gruppi avversi ma Al-Maskhout e gli otto uomini che erano con lui sono stati sopraffatti e uccisi.
Sia la dinamica dell’agguato – una vera e propria operazione militare – sia le armi utilizzate, sia il modo in cui il team dei killer ha sparato ed è poi riuscito a esfiltrarsi sano e salvo ha suggerito che si trattasse di professionisti molto ben addestrati ad operazioni militari di questo tipo, quasi si fosse trattato di elementi delle forze speciali.

Gli aggressori, che non sono stati identificati, si erano inizialmente appostati per cogliere di sorpresa il boss degli scafisti libici. Tutto il team che ha aggredito Al-Maskhout e i suoi 8 uomini di scorta è riuscito a fuggire indenne dopo l’agguato senza riportare vittime. Ma quello che ha fatto immaginare ad un’azione delle forze speciali è che mentre le guardie del corpo dell’ex-colonnello di Gheddafi erano armate di micidiali Kalashnikov semiautomatici e sono stati annientate, il team di aggressori impugnava tutte armi corte, pistole e mitragliette.
Zuwara è attualmente considerata la capitale del contrabbando della Libia, base degli scafisti, in particolare per la tratta dei migranti ma, negli ultimi tempi, soprattutto, dopo la tragedia del mese scorso, quando centinaia di profughi sono annegati in mare aperto e molti corpi di disperati sono stati poi restituiti dalle onde sulle rive – le tragiche immagini dei cadaveri dei bimbi sul bagnasciuga hanno fatto il giro del mondo – è andata crescendo l’insofferenza e la rabbia verso gli scafisti tanto della popolazione locale quanto del regime di Tripoli che vedeva con imbarazzo questo coinvolgimento della zona nel traffico di esseri umani. Le milizie locali hanno dichiarato una vera e propria “guerra” agli scafisti con il sostegno della gran parte della popolazione. Oggi questo episodio viene letto anche sotto questa chiave ma l’elemento che, certo, condiziona di più nella valutazione complessiva dell’agguato è quello di una vera e propria operazione di forze speciali anche se c’è chi ci vede un regolamento di conti fra bande di scafisti. C’è chi annota anche che i proiettili ritrovati dopo la sparatoria non sarebbero di tipo comune mentre alcune fonti locali sosterrebbero che alcuni membri del team parlassero in inglese e in Ditaliano. Secondo il Dipartimento investigativo di Tripoli e i medici legali che hanno esaminato il cadavere del boss degli scafisti, «i proiettili utilizzati per uccidere Salah Al-Maskhout sono di calibro 9mm, quelli in dotazione alle forze di sicurezza americane e alle guardie della sede diplomatica americana». E, oltretutto, l’uomo «è stato colpito al cuore», e ciò confermerebbe l’esecuzione da parte di “professionisti”. I testimoni che hanno assistito alla sparatoria, citati dai media locali, dicono con certezza che «i killer non erano libici».
Zuwara è considerata una sorta di trampolino di lancio per i migranti che sperano di raggiungere l’Italia dalla costa libica con l’aiuto degli scafisti libici. Nell’agosto scorso due barconi che erano patiti da Zuwara per portare in Italia circa 500 clandestini erano naufragati e la guardia costiera libica aveva lavorato tutta la notte per portare in salvo i passeggeri ma, alla fine, 200 erano risultati dispersi. Fra loro migranti provenienti dalla Siria, dal Bangladesh e da diversi paesi dell’Africa sub-sahariana.

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