Hollande si gioca l’ultima carta: agenti con microtelecamere nelle banlieue

26 Ott 2015 15:11 - di Paolo Lami

Era il 2005 e la Francia scoprì, con stupore e dolore, di aver covato per anni e silenziosamente sul proprio territorio, un odio profondo, radicato, compresso nelle periferie e nei sobborghi abitati dagli immigrati sbarcati nel Paese dalle ex-colonie. Era il 2005, dieci anni fa, dunque, ed esplodevano, con tutta la violenza delle contraddizioni socio economiche che la Grandeur si era portata appresso inconsapevolmente nel corso degli anni, le banlieue francesi, quei ghetti gonfi di precarietà sociale dove il perbenismo francese misto alla spocchia della sinistra d’Oltralpe, aveva pensato di poter affogare la propria incoerenza e, insieme, la propria cattiva coscienza di colonialisti con la puzza sotto al naso.
Oggi, a dieci anni di distanza dall’esplosione di quella guerriglia che durò settimane e che fu scatenata dall’uccisione di due adolescenti in un inseguimento della polizia, Hollande ha cercato di  giocare d’anticipo schierando 18 dei suoi ministri, con il premier Manuel Valls in testa, nelle periferie di Parigi per commemorare. E, soprattutto, per distribuire, assieme alle lacrime di circostanza, gli annunci dal chiaro sapore elettorale che dovrebbero, nelle intenzioni dell’ex-amante impacciato di Julie Gayet, farlo risalire sui sondaggi.
L’annuncio più atteso è, naturalmente, quello che dovrebbe rendere gli agenti francesi su tutto il territorio nazionale una sorta di robocop, futuristici poliziotti dotati di una mcrotelecamere installate sul petto o sulla spalla per filmare gli interventi, l’attività dei posti di blocco e le azioni più violente ed a rischio.
Il fatto è che dieci anni dopo la rivolta in cui bruciavano ogni sera centinaia di auto in tutte le banlieue di Francia, sette francesi su 10 – stando a un sondaggio – hanno la percezione che la situazione non sia migliorata e che le periferie restino molto pericolose. Per il deputato socialista Malek Boutih, il politico socialista di origini algerine presidente dell’associazione Sos Racisme, oggi è addirittura «più difficile di prima in banlieue». Detto da uno come lui c’è da credergli: l’immigrazione selvaggia e incontrollata porta solo a uno scontro di culture.

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