L’antiberlusconismo non è più la religione del Pd. La destra si dia una mossa

19 Ott 2015 12:54 - di Mario Landolfi

Ci piaccia o no, dobbiamo ammetterlo: Renzi sta cambiando la sinistra italiana. La qual cosa, ovviamente, non può lasciare indifferente la destra, a meno che non si voglia ingabbiare quel che resta del bipolarismo in uno schema astratto e del tutto indifferente ai contenuti. Fare finta di niente, cioè trattare Renzi come se fosse un D’Alema fiorentino, un Veltroni senza mal d’Africa o, peggio ancora, un Bersani col ciuffo potrebbe rivelarsi un pessimo affare perché prima o poi s’incaricherebbero gli elettori di ricordare a Berlusconi che la politica non può ridursi alla rendita da etichetta.

La destra si è incatenata a un bipolarismo urlato ormai superato

Non è – il nostro – un invito alla smobilitazione, ci mancherebbe. È piuttosto un allarme lanciato a una destra incatenata alla rupe di una contrapposizione urlata ma ormai rifiutata da milioni di italiani che alle ultime elezioni le hanno preferito il polo grillino o l’astensionismo. Ci piace invece pensare che la destra coltivi ancora ambizioni di governo. In tal caso, essa deve rendersi conto che come nel biennio ’93-94 l’Italia è alle soglie di una nuova stagione politica, e stavolta non per merito di un imprenditore coraggioso, ma per la scelta di un giovane amministratore, cresciuto nel più rosso dei sistemi di potere, di abiurare l’antiberlusconismo come religione civile della sinistra. Un cambiamento epocale che in termini di scelte concrete si è tradotto nell’impegno a ridurre le tasse, nell’elevazione del denaro contante, nel parziale abbattimento del totem dell’art. 18, nel sensibile allentamento del collateralismo con il partito delle procure e in una maggiore autonomia da quei santuari mediatici che hanno funzionato da arsenali nella “guerra dei vent’anni” contro il Cavaliere. Non è che con questo Renzi sia diventato berlusconiano o che per questo Berlusconi debba convertirsi al renzismo, ma è un fatto incontestabile che il premier stia scompaginando tutte le certezze di cui si è nutrita la sinistra nell’ultimo ventennio allo scopo di far valere anche in Italia un bipolarismo finalmente basato su opzioni politiche alternative e non più sullo scontro antropologico tra una presunta “Italia migliore” e un’altra “impresentabile” e berlusconiana.

Ora è Berlusconi il guardiano della “Costituzione più bella del mondo”?

Sembra poco ma non lo è, perché mentre é chiaro che nel nuovo schema Renzi tende ad occupare politicamente uno spazio che va oltre i confini della sinistra, restano un mistero le intenzioni di Berlusconi. Al momento, fa un po’ specie sentirlo girare al premier la stessa accusa di autoritarismo rovesciatagli addosso per anni dagli zelanti custodi della “Costituzione più bella del mondo”, ma è il primo a sapere che si tratta di una strada senza uscita, buona forse a tenere insieme quel che resta della coalizione non certo a costruire l’alternativa per tornare vincente. Così come sa che non può attardarsi ad agitare le stesse parole d’ordine di vent’anni fa o a bollare come “nemico” un premier che quote ormai sempre più cospicue di elettorato moderato stentano a percepire come tale. Un nuovo inizio appare sempre più necessario e improcrastinabile. Tracciarne la rotta è la difficile sfida che oggi la destra ha di fronte.

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