Riforme, sì del Senato all’articolo 2. Non serve il soccorso di Verdini
E alla fine il “lodo Tatarella“, trasfuso nell’emendamento a firma Anna Finocchiaro, mise tutti d’accordo. E con ben 76 voti di scarto, che rendono numericamente ininfluente il soccorso delle truppe di Verdini, il governo incassa l’approvazione dell’articolo 2 del ddl Boschi, vale a dire il cuore del testo sulle riforme costituzionali. Per mesi l’articolo 2 è stato lo scoglio sul quale rischiava d’infrangersi il progetto di Renzi di modifica del bicameralismo perfetto. Alla fine è spuntato il compromesso – il “lodo Tatarella”, appunto – sull’elettività dei senatori.
Riforme, concreto il rischio di un “Senato-Arlecchino”
L’articolo, infatti, stabilisce che i consigli regionali eleggono i futuri senatori tra i propri membri, e che «la durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti». L’emendamento Finocchiaro aggiunge che l’elezione dei senatori da parte dei consigli regionali deve avvenire «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge» elettorale che dovrà essere successivamente varata. In poche parole per entrare in Senato il candidato dovrà superare un doppio ostacolo: il voto dei cittadini e successivamente la ratifica da parte del consiglio regionale. Resta comunque il rischio di un’assemblea “arlecchino” dal momento che, se non interverranno ulteriori modifiche, ogni regione deciderà autonomamente in merito alla legge elettorale con cui i cittadini individueranno l’eletto (listino, collegio uninominale, preferenze e via elencando).
L’emendamento Finocchiaro passa con 76 voti di scarto
L’approvazione dell’articolo 2 è stata salutata da un lungo applauso della maggioranza. Qualcuno parla addirittura di «giornata storica». Resta invece con i piedi ben piantati per terra la stessa Finocchiaro che subito si affretta a precisare che la nuova sagomatura del Senato «non è una sconfitta di una parte», cioè di quanti proponevano il Senato delle garanzie. In realtà, non è che Renzi faccia i salti di gioia. Il premier voleva che i futuri senatori fossero scelte esclusivamente dai consigli regionali. E si capisce: la leva del governo gli avrebbe consentito di pianificare la nomina della stragrande maggioranza dei senatori del Pd. Con il voto popolare, l’operazione è più difficile. Questa è almeno la speranza di Bersani e compagni.