Verdini? Un seguace del cinismo politico all’italiana. Ecco perché
“Renzi è preparato, simpatico, empatico, ha caratteristiche da leader”. “Berlusconi? Lui è unico straordinario, un grande innovatore”. Che Denis Verdini si senta un po’ Talleyrand non lo sappiamo. Nè sappiamo se conosca la storia del principe marchese. Ma siamo certi che gli piacerebbe un sacco il paragone. Per cui, sollecitiamo quelli che vogliono ingraziarselo (che immaginiamo tantissimi) o soltanto tenerlo buono (altrettanti) a regalargli almeno “La Diplomazia del Cinismo” di Andrè Castelot (ed. Hoepli). Cosicchè, quello che volgarmente chiamano il macellaio fiorentino, possa trarne la convinzione che il suo agire è in linea con la più alta delle tradizioni politiche: quella dei voltagabbana, appunto. Tradizione della quale Verdini potrebbe addirittura ergersi a paladino, divenire l’esempio più recente ed efficiente surclassando tanti altri presunti (e presuntuosi) protagonisti di cui non solo la Storia, ma persino la cronaca s’è scordata. Lui, il Verdini, ad onta del passato in beccheria, sembra sanguigno, ma non sanguinario. Più propenso a tessere la tela, a tramare nel Palazzo, pur sempre nell’ombra, che a brandire il coltello. Tant’è che col Cavaliere intavolò il discorso d’addio proprio a tavola. Il suo programma lo ha svelato ai microfoni de La Zanzara: “Io credo che ci siano grandi movimenti al centro e credo si possano fare grandi cose senza andare nei giardini altrui. Renzi è un leader della sinistra, una sinistra riformista, ma non è il nostro leader. Guardiamo a lui con attenzione perché solo i leader cambiano la storia del Paese e lui lo potrebbe fare”. Chiaro, no? Mica tanto. Perchè il diavolo si nasconde nei dettagli e quel condizionale, quel “potrebbe” gettato lì, dovrebbe mettere sull’avviso anche il paraculo fiorentino che sta a Palazzo Chigi. Perché nulla c’è di definitivo per Denis Verdini. E perché, come disse il Giusti di Talleyrand, i brindisi di Girella non finiscono mai.