Wall Street punta sui repubblicani: a Jeb Bush 5 volte in più i fondi della Clinton
Wall Street preferisce i repubblicani ai democratici in vista delle presidenziali del 2016: si tratta di un’inversione di tendenza rispetto alla precedente campagna elettorale, quando Hillary Clinton correva contro l’allora senatore Barack Obama, e i fondi raccolti dai due candidati democratici erano stati ingenti. A dimostrarlo, il caso di uno dei candidati più in ombra tra i repubblicani. Nonostante lo svantaggio nei sondaggi rispetto ai suoi rivali, l’ex governatore della Florida, Jeb Bush, ha ottenuto cinque volte di più fondi da Wall Street che Clinton con il suo Super-Pac, il meccanismo di finanziamento elettorale. I fondi, secondo i dati forniti dalla commissione elettorale federale, riferisce The Hill , ammontano a 30 milioni di dollari, raccolti via donazioni di aziende, settore bancario e industrie di investimento. Clinton invece ha ricevuto solo 5,9 milioni di dollari da Wall Street, meno della meta’ raccolta dal conservatore Ted Cruz ($12,5 milioni), la maggior parte dei quali da un manager di hedge fund, Robert Mercer.
Il segnale che arriva da Wall Street è sintomo eloquente delle difficoltà del partito democratico, che paga il prezzo, in termini di immagine, dell’amletismo di Obama in politica estera e della insufficienza dei candidati dem. A compromettere in particolare l’immagine della Clinton è lo scandalo delle mail, tant’è che la Casa Bianca cercherà di bloccare la pubblicazione dello scambio di messaggi tra il presidente Obama e la Clinton stessa . La notizia compare sul New York Times che cita funzionari della Casa Bianca. la mossa rischia di irritare il Congresso a maggioranza repubblicana il quale ha fatto pressioni perché il contenuto di tutte le email inviate dall’account privato di Hillary siano rese pubbliche nell’ambito delle indagini sulla gestione dell’amministrazione degli attacchi di Bengasi. Ma funzionari della Casa Bianca sostengono che il loro rifiuto a pubblicare le email tra Obama e Clinton non si basa sul loro contenuto, ma piuttosto ha lo scopo di difendere il principio che i presidenti devono essere liberi di ricevere consigli dai loro collaboratori, senza timore che le conversazioni siano rese pubbliche mentre sono ancora in carica.