La Bce compra ancora titoli di Stato. E se la liquidità fosse una trappola?

6 Nov 2015 16:14 - di Enea Franza

Era il 22 gennaio 2015 scorso quando la BCE diede il suo voto favorevole al piano di acquisto di titoli di Stato  da 1100 miliardi fino al 2016. Una politica monetaria super espansiva per le abitudini della banca centrale europea, ed ai limiti dei compiti assegnati all’Istituto dai trattati, che lo vedono come tutore della stabilità monetaria. Il bazooka di Draghi – cosi fu spettacolarizzato l’intervento della BCE – prevedeva un acquisto fino a 60 miliardi di euro al mese di acquisti di bond da marzo 2015 ad almeno settembre 2016 per un totale di 1140 miliardi di Euro ed un’assunzione diretta di rischio per il 20% del totale; altri fondi erano poi messi a disposizione delle banche europee per finanziare l’economia. La speranza coltivata da Draghi era quella che le banche trasferissero il denaro come prestiti a famiglie e imprese, in modo da aumentare il livello di inflazione al 2 % e rilanciare  consumi e investimenti. A ottobre 2015, qual è l’effetto per l’ Italia di tale fiume di denaro ? Bene le perplessità allora avanzate da tanti economisti sembrano allo stato trasformarsi in realtà. Come confermato dalla Banca d’Italia, gli istituti di credito italiani non hanno dato denaro alle imprese ed a crescere sembrano essere solo i mutui immobiliari erogati alle famiglie. Viceversa, le banche stanno acquistando titoli di stato, tanto che il rendimento degli stessi è pari allo zero. Peraltro, il fondo con una disponibilità di 80 miliardi mensili messo a disposizione delle Banche per il finanziamento alle imprese e alle famiglie per prestiti agevolati (non per mutui immobiliari) sembra essere stato utilizzato solo per circa 17 miliardi mensili, segno che non parte il finanziamento agli investimenti e alla spesa.

Il denaro della Bce non arriva alle famiglie e alle imprese

Ma perché il denaro invece di essere prestato dalle banche alle imprese ed alle famiglie “resta nei forzieri” della Banca Centrale Europea? La risposta classica è che, sicuramente, il c.d. quantitative easing non può essere sostitutivo dei progetti e della capacità d’intrapresa dell’economia; l’aumento dell’offerta di moneta, infatti, può dare un contributo alla crescita dell’economia, solo se intercetta una maggiore domanda d’investimenti privati o/e pubblici o l’accrescimento della domanda per consumi. In tal caso, l’aumentata offerta, facendo calare il costo del denaro (il tasso d’interesse), rende profittevoli investimenti prima non redditizi e, stimola attraverso il consumo a debito. Ma non è solo questa, a nostro avviso, la ragione ma sono anche altre le motivazioni contribuisco a rendere debole il finanziamento. In primo luogo, va evidenziato che la crisi ha indotto gli operatori economici verso una generale riduzione del livello di indebitamento (c.d. deleveraging), che trova le sue ragioni nella reazione naturale degli operatori economici nei confronti di un’inversione nelle aspettative, che da moderatamente positive, si sono rapidamente trasformate in negative. Tale comportamento delle imprese (e quindi anche delle banche) è continuata per tutto il 2015, dove si è assistito al tentativo di riduzione dei debiti e di rafforzamento del capitale sociale. In particolare,  le banche hanno anche mirato ad una riduzione complessiva delle scadenze. Le banche, peraltro, restano oppresse da una montagna di sofferenze a cui si aggiunge il problema del rispetto della normativa sui requisiti di capitale sui quali vigila la stessa BCE nella nuova funzione di supervisore (in breve Basilea 2 e, in prospettiva, Basilea 3).  La crisi  ha generato in Italia, infatti, un ammontare di “sofferenze” (no perferming load) nel sistema bancario di oltre 200 Miliardi di Euro ed il progetto di bad bank (o asset management company) che potrebbe dare sollievo sotto questo profilo, giace nel cassetto, in attesa delle decisioni di Bruxelles.

I fondi della Bce vanno ai mercati immobiliari e finanziari

Gli effetti di tali politiche contribuiscono non poco acché le banche rinuncino ad accollarsi nuovi rischi. Se le  banche non trasmettono liquidità a famiglie e piccole medie imprese  e se le imprese stesse non effettuano gli investimenti per via di aspettative negative, non ci sarà alcuno stimolo a consumi ed investimenti e la liquidità presente potrebbe riversarsi completamente sull’immobiliare e sui mercati finanziari, andando ad incrementare i rischi di bolle speculative e instabilità. E se invece fossimo avviati inevitabilmente  verso la trappola della liquidità ? John Maynard Keynes, disse: “Quando il tasso d’interesse nominale è zero l’aumento dello stock di moneta fa precipitare l’economia in una trappola della liquidità”. In questo caso particolare, in corrispondenza di un tasso d’interesse abbastanza basso, e negativo o molto vicino allo zero, la domanda di moneta per fini speculativi diviene illimitata, perché i risparmiatori si aspettano un incremento del tasso d’interesse e per tale ragione preferiscono detenere moneta in forma liquida piuttosto che investirla. Ciò genera, se il contesto è di deflazione, un aumento del tasso d’interesse reale e, quindi,  un avvitamento a spirale negativa dell’economia. Come evitare che il fenomeno che oggi temiamo si concretizzi ? Paul Krugman sostiene che la banca centrale deve convincere gli agenti che manterrà i tassi d’interesse nominali a zero per parecchio tempo accettando l’inflazione. E’ l’inflazione il toccasana – e Draghi ha fissato l’obbiettivo al 2% annuo – ma in presenza di vincoli di bilancio sempre meno rispettati dagli Stati nazionali, non penso che il compito di Draghi potrà essere svolto fino in fondo e che ben presto gli effetti negativi del q.e. (che tuttavia avvertiamo ) non mancheranno di lasciare il passo a ben più devastanti conseguenze in termini di deflazione e relativamente alta inflazione.

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