La bufala-Isis su Whatsapp: mamma e figlia vanno dalla polizia e “confessano”
Da una parte la corsa febbrile ad elevare le misure di sicurezza: la novità di oggi sono i metal detector al Colosseo. Dall’altra non si arresta il panico post-Parigi, con i falsi allarmi che si susseguono in tutta Italia. L’ultimo, un messaggio su WhatsApp, che ha scatenato l’ira del premier Matteo Renzi ed attratto l’attenzione di polizia e procura per un’ipotesi di procurato allarme. Poi, in serata, la svolta: una donna e la figlia, protagoniste della telefona virale, si sono presentate spontaneamente negli uffici della polizia ed hanno dato la loro versione. Il rischio attentato di cui si parlava nella telefonata – hanno detto – altro non era che una scusa della madre per convincere la figlia a non uscire di casa. «Facciamo – dice Renzi – tutti i controlli che servono ma bisogna essere consapevoli che chi vuole rinchiuderci in casa non può avere la meglio. Si cerca di colpire la quotidianità. Per questo bisogna affermare con forza che non ci lasceremo prendere dalla psicosi, dall’isteria e dalla paura». Nel messaggio vocale fatto circolare su Whatsapp – e diventato presto virale – una “madre” avverte la propria figlia e un’amica di quest’ultima che vive a Roma di non uscire di casa perché ci sarà un attentato terroristico nel centro della città spiegandole di avere scoperto la cosa dopo avere parlato “con la mamma di una sua amica che lavora al Ministero dell’Interno”.
Renzi fa da amplificatore al falso allarme su Whatsapp
Renzi non ci sta: parla di “procurato allarme”, invita gli inquirenti ad indagare sull’autore e registra un contro-messaggio sempre su WhatsApp per attaccare chi “pensa di essere simpatico, ma non si rende conto che suscita un clima di paura e anche di panico. Vorrei invitare tutti a non cascarci, terrorismo è una minaccia molto seria ma isteria non domini nostre vite”. In serata la protagonista della telefonata si è presentata spontaneamente negli uffici della polizia, con la figlia, ed ha chiarito i termini della vicenda. Ha riferito che era al telefono con un’amica della figlia e, per convincere entrambe a non uscire di casa, ha inventato la storia dell’imminente attentato e il suo contatto con una persona inesistente che – aveva detto, per dar credito alle sue informazioni – lavorava al Ministero dell’Interno. Quella telefonata, all’insaputa della donna – sempre secondo il racconto di quest’ultima alla polizia – è stata registrata e poi inoltrata, probabilmente dalla figlia o dall’amica di quest’ultima, ad altri contatti Whatsapp, fino a diventare virale. La ragazza, che ha frequentato a scuola un corso “vita da social” promosso dalla polizia, ha visitato la pagina Facebook in cui la stessa polizia qualificava i contenuti della registrazione come “una bufala” e si è spaventata. Ne ha parlato con la madre, che era all’oscuro di tutto. La donna – saputo a sua volta che la polizia postale era al lavoro per identificare i protagonisti della telefonata – ha deciso di presentarsi spontaneamente, con la figlia, negli uffici di polizia per chiarire la vicenda. Le loro deposizioni sono state raccolte in verbali che saranno trasmessi all’autorità giudiziaria, che aveva già fatto sapere di valutare l’ipotesi di indagare per procurato allarme.