Le truppe di terra di Assad per sconfiggere l’ISIS: l’ultima idea della Francia
Parigi suggerisce una nuova alleanza tra le truppe del dittatore Bashar Al Assad e i ribelli moderati dell’Esercito siriano libero. Dopo cinque anni di guerra e 300 mila morti, massacratori e massacrati potrebbero — secondo il ministro degli Esteri francese Fabius — trovarsi sullo stesso fronte e unire le forze contro l’Isis, il nemico più grande. L’eventualità evocata da Fabius dimostra quanto sia ancora complicata la situazione diplomatica e anche militare in Siria.
La determinazione della Francia di distruggere lo Stato Islamico è «assoluta», dice Laurent Fabius.
Dopo avere incontrato m soli quattro giorni David Cameron, Barack Obama, Angela Merkel, Matteo Renzi e Vladimir Putin, il presidente Francois Hollande vedrà oggi a Parigi il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon a colazione, il nuovo premier canadese Justin Trudeau a pranzo e il presidente cinese Xi Jinping a cena, alla vigilia dell’apertura della grande conferenza sul clima COP21. Parleranno di riscaldamento climatico, ma anche dell’aiuto che ogni Paese può offrire alla Francia nella guerra contro l’Isis.
La Francia ha bisogno di tutti. Persino, a quanto pare, delle truppe del dittatore più odiato.
Tre anni fa – ricorda “il Corriere della Sera” – Fabius disse che «Bashar non merita di stare su questa Terra», e fino al settembre scorso la Francia ha sempre considerato la partenza di Assad come la precondizione per qualsiasi ipotesi di soluzione politica in Siria. Gli schieramenti avevano cominciato a muoversi già in occasione della conferenza stampa di Hollande in settembre, quando il presidente fece capire che cacciare Assad non era più la priorità: l’obiettivo numero uno diventava distruggere l’Isis. Il dittatore non avrebbe mai rappresentato il futuro della Siria, ma si poteva sopportarlo per il tempo necessario alla transizione. L’intervento diretto in Siria della Russia — che assieme all’Iran è il grande sponsor di Assad —, l’esplosione dell’aereo passeggeri russo decollato a Sharm el Sheikh e soprattutto gli attentati di Parigi hanno cambiato tutto.
Parigi ha bisogno di aiuto da chiunque possa offrirglielo e in particolare da Mosca
La maratona diplomatica di Hollande è ben lontana dall’avere ottenuto l’obiettivo proclamato il 16 novembre davanti al Congresso riunito a Versailles, ovvero la nascita di una «grande e unica coalizione» internazionale contro gli jihadisti. E l’abbattimento martedì del caccia russo da parte dell’aviazione della Turchia, alleata degli Usa e membro della Nato, ha ulteriormente allontanato il traguardo, Stati Uniti e Russia sono sempre distanti e Putin ha chiarito esplicitamente che non ha alcuna intenzione di mettere i suoi aerei sotto il comando americano in una coalizione internazionale unica guidata dagli Stati Uniti. Hollande però almeno ha ottenuto un «coordinamento» tra Francia e Russia quanto ai bombardamenti. Parigi fornirà a Mosca una mappa delle forze anti-régime non terroriste, cioè i ribelli moderati non jihadisti, e Putin si è impegnato a non bombardarle.
Resta per la Francia un altro grave problema di fondo: come vincere una guerra senza inviare truppe
Tutti gli esperti, capi militari e ormai anche i mèmbri stessi del governo ammettono che senza soldati sul terreno la guerra non può essere vinta. «Le truppe di terra ce le abbiamo già, sono i curdi», ripetono da tempo molti osservatori tra i quali l’ex ministro degli Esteri Bernard Kouchner. Ma i curdi sono soprattutto impegnati a difendere o riconquistare le loro posizioni nel Nord della Siria; difficile pensare a loro per tentare un attacco a Raqqa, la capitale dello Stato Islamico. «Il nostro obiettivo militare principale è prendere Raqqa, perché è lì che si trova il centro nevralgico dell’Isis, ed è da lì che sono partiti gli attentati — dice Fabius —. Raggiungeremo il traguardo con i bombardamenti, e con le forze sul terreno». Che però non possono essere francesi, «sarebbe controproducente, le nostre truppe verrebbero percepite come delle forze di occupazione». E allora? Fabius fa cadere il tabù e immagina un’offensiva condotta dalle «forze dell’Esercito siriano libero, dai militari di altri Paesi arabi sunniti, perché no dalle forze del regime, e dai curdi». Mancano solo, fino alla prossima svolta, i reparti speciali dell’Iran, le forze sciite del- l’Hezbollah libanese e i jihadisti vicini ad Al Qaeda del fronte Al Nusra.