Cuffaro libero (con dignità): da Totò “vasa vasa” a detenuto modello

12 Dic 2015 18:10 - di Desiree Ragazzi

Dopo quattro anni e undici mesi passati in carcere Totò Cuffaro, nel giorno di Santa Lucia, torna ad essere un uomo libero. Ora che ha chiuso i conti con la giustizia, grazie all’indulto di un anno per i reati “non ostativi” e lo sconto di quarantacinque giorni ogni sei mesi per buona condotta, guarda al futuro. L’ex governatore siciliano ed ex esponente in Sicilia dell’Udc, ha scontato al carcere romano di Rebibbia la condanna a sette anni per favoreggiamento alla mafia. Una condanna che ha accettato e scontato con grande dignità. Senza battere ciglio, senza potere salutare i genitori morenti e poter partecipare ai loro funerali. L’ex presidente della Regione siciliana, il politico che ha scontato la pena più lunga, non potrà assumere incarichi pubblici. Glielo impedisce l’interdizione alla quale è stato pure condannato. Ma tutti pensano che avrà o gli attribuiranno un ruolo politico. L’unica cosa che Cuffaro ha detto, in una lettera al governatore siciliano Rosario Crocetta, è il suo desiderio di recarsi presto in Burundi come volontario. «Ho già preso contatto – ha scritto – e andrò in Burundi a fare il medico volontario presso l’ospedale Cimbaye Sicilia, l’ospedale che, quand’ero presidente, la Regione Siciliana ha finanziato con i soldi del Fondo della Solidarietà». Per lui è la fine di un incubo che vuole vivere in una dimensione privata.

La storia di Cuffaro: da “Totò vasa vasa” ai cannoli

Ai tempi d’oro lo chiamavano “Totò vasa vasa“,  per via della sua  capacità di baciare tutte le persone che incontrava. Baciava tutti sulle guance e tutti, “ignorando” il suo ruolo politico e istituzionale, lo chiamavano confidenzialmente “Totò”.  Una confidenza che lui accettava e che gli faceva guadagnare nel segreto dell’urna il pienone di voti.  È passato alla storia per quella che è stata definita la “festa dei cannoli”. Nel 2008 il governatore siciliano fu accusato di aver festeggiato con tanto di cannoli il verdetto dei giudici che lo aveva prosciolto dall’accusa di aver aiutato Cosa Nostra. Anche se restava la condanna a cinque anni per favoreggiamento semplice. Ci furono polemiche. Ma lui respinse con forza le accuse: «Non ho mai festeggiato, perché è forte in me la consapevolezza del peso della condanna a mio carico. Ho solo detto, e lo ribadisco da tre giorni, che ho provato conforto per una sentenza che stabilisce che io non ho mai favorito nè la mafia nè i singoli mafiosi. L’ho detto e lo ribadisco, non sento nessuna voglia di festeggiare, evidentemente a qualcuno fa comodo strumentalizzare, anche i gesti più normali della buona creanza com’è quello di offrire un caffè ai giornalisti intervenuti alla conferenza stampa».

Dalla sentenza di condanna all’uscita dal carcere

Le cronache raccontano della lunga attesa per il verdetto della Cassazione. Cuffaro attese la sentenza definitiva pregando la Madonna in una chiesa di Roma e giunse a Rebibbia, a piedi, il 22 gennaio 2011. Prima di varcare il portone del carcere disse ai cronisti: «Sono un uomo delle istituzioni e ho rispetto della magistratura. Affronterò la pena com’è giusto che sia». Il carcere ha segnato l’ex governatore che ha affrontato la detenzione come prova di vita oltre che di fede. In cella ha anche scritto due libri di sofferta testimonianza: Il candore delle cornacchie e Le carezze della nenia. Contengono riflessioni maturate in un ambiente dove “si muore e si risorge ogni giorno”. È anche notevolmente dimagrito (come si evince dal confronto nella foto in alto) e ha studiato per conseguire la seconda laurea in Giurisprudenza.

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