Golpe anti-Cav, Padoan si schiera con i poteri forti: non ci fu attacco all’Italia

10 Dic 2015 13:01 - di Paolo Lami

Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan si schiera con i poteri forti e contro l’Italia. E al processo in corso a Trani a carico di cinque tra analisti e manager di Standard & Poor’s e della stessa società di rating per manipolazione del mercato e per aver sferrato un attacco contro l’Italia e contro il governo Berlusconi, sostiene che non vi fu la volontà di danneggiare il nostro Paese. Ma, al contempo, non sa spiegarsi il motivo del doppio declassamento deciso da alcuni analisti di Standard & Poor’s, doppio declassamento che danneggiò pesantemente l’Italia e lo stesso Pdl.
«La parola attacco implica una volontà a danneggiare, ma rilevo che il declassamento produce effetti di indebolimento», sostiene Carlo Padoan, deponendo a Trani al processo a Standard & Poor’s in risposta ad una domanda del pm Michele Ruggiero se si poteva parlare di un attacco delle agenzie di rating. Insomma, secondo il ministro, l’Italia fu indebolita ma non danneggiata volontariamente.
Padoan, che è stato citato dalla pubblica accusa in base al suo precedente incarico di capo economista dell’Ocsea, non si sa, tuttavia, spiegarsi, le ragioni che indussero le agenzie di rating a dare il doppio declassamento all’Italia: «Non so dire perché ci fu il doppio declassamento. La valutazione di S&P andava in direzione opposta rispetto al risanamento intrapreso dal governo Monti. Evidentemente l’agenzia di rating aveva poco fiducia». In realtà Standard & Poor’s spiegherà – ed è questo uno dei punti contestati anche alla luce di recenti rivelazioni sulla volontà di colpire Berlusconi, che l’ambiente politico italiano era migliorato sotto il governo Monti.
Subito dopo il doppio declassamento dell’Italia (da A a BBB+) deciso da S&P nel gennaio 2012, Padoan, in un’intervista ad un quotidiano, lamentò che il doppio downgrade era ingiustificato e contraddittorio. Considerazioni che confermò poi durante un’audizione dinanzi al pm inquirente, Michele Ruggiero. Dopo l’audizione a sommarie informazioni, l’Ocse scrisse alla Procura di Trani spiegando che Padoan godeva dell’immunità diplomatica e le sue dichiarazioni non potevano essere utilizzate in alcun processo. Questa eccezione è stata sollevata dalla difesa nel corso del processo, ma il Tribunale l’ha respinta ammettendo la testimonianza dell’attuale ministro dell’Economia.
Quanto al fatto che nel 2012 S&P aveva dato all’Italia e all’Irlanda lo stesso “Credit score“, ovvero la stessa affidabilità creditizia la cui veridicità è contestata dalla pubblica accusa.
«Fu una coincidenza – ha sostenuto Padoan – Le agenzie di rating  esprimono un rating, l’Ocse e le altre organizzazioni danno un giudizio complessivo e non danno un voto. Il sistema bancario italiano è simile a quello irlandese, ma sono diversi, anche perché la presenza del sistema bancario nell’economia irlandese è proporzionalmente superiore a quello italiano», ha spiegato Padoan prima di lasciare il palazzo di Giustizia. Alla prossima udienza, il 29 gennaio, sono attesi l’ex-premier Mario Monti – che prese il posto di Berlusconi su input di Napolitano – e l’ex amministratore delegato di S&P per l’Italia Maria Pierdicchi.
Il reato contestato riguarda cinque tra analisti e manager dell’agenzia di rating, accusati di aver fornito «intenzionalmente» ai mercati finanziari – tra maggio 2011 e gennaio 2012 – quattro report contenenti informazioni tendenziose e distorte sull’affidabilità creditizia italiana e sulle iniziative di risanamento adottate dal governo per «disincentivare l’acquisto di titoli del debito pubblico italiano e deprezzarne così il valore».
L’ultimo report sotto accusa è quello con cui S&P, il 13 gennaio 2012, decretò il declassamento del rating dell’Italia di due gradini (da A a BBB+). Sono imputati Deven Sharma, ex-presidente mondiale di S&P, Yann Le Pallec, responsabile per l’Europa, e gli analisti del debito sovrano Eileen Zhang, Franklin Crawford Gill e Moritz Kraemer.
Nel loro report,  Zhang e Kraemer scrissero che «c’è un elevato livello di vulnerabilità ai rischi di finanziamenti esterni». Un’affermazione che per Renato Panichi, responsabile per le banche di Standard &Poor’s, era assolutamente sbagliata e apodittica tanto da chiedere con una furibonda email ai due analisti di rimuovere quella parte dal report.
«Attualmente – scrisse Panichi ai due – è proprio il contrario, uno dei punti di forza delle banche italiane è stato proprio il limitato ricorso/appello ai finanziamenti esterni o all’ingrosso». Di lì l’aut aut: «Per favore rimuovi il riferimento alle banche!». Quella mail oggi è la leva con cui il pm Michele Ruggiero intende scardinare le tesi della difesa dell’agenzia di rating. Panichi lavora tutt’oggi a S&P. Non è stato rimosso. Forse qualche ragione ce l’aveva.

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