Tanti giovani si fanno esplodere nel nome di Allah? Ecco perché

16 Dic 2015 16:46 - di Paolo Sturaro

Perché tanti giovani di vent’anni (e anche meno) si fanno esplodere nel nome di Allah? È una domanda che manda in tilt la politica e la cultura dell’Occidente. È il vero tallone d’Achille della nostra società e spiega la sua impreparazione culturale e “psicologica” di fronte all’offensiva jihadista. Perché una spiegazione, sulla base delle categorie mentali più diffuse nella nostra società, non c’è. Ma bisogna trovarla.  Aldo Di Lello tentata di rispondere a questa domanda in un libro appena pubblicato, Il codice dell’Apocalisse (nelle librerie di Roma oppure può essere ordinato su www.edizionikoine.it). Per l’autore, il fanatismo religioso è una spiegazione  insufficiente. Da diversi anni si sono infatti manifestate nei settori estremi del mondo islamico forze apocalittiche. «L’Apocalisse – spiega Di Lello – non è una catastrofe attivata da un timer escatologico, ma una possibilità immanente alla storia. È un incendio che divampa contemporaneamente in migliaia e migliaia di menti. È una sorta di delirio di massa che porta tanti giovani e meno giovani a credere che i tempi ultimi siano prossimi». L’autore propone in tal senso di utilizzare l’espressione «islamismo apocalittico» e non più «fondamentalismo», termine ormai diventato troppo generico.

Non è una caso che la rivista dell’Isis si chiami Dabiq , che nella tradizione islamica rappresenta il luogo della battaglia escatologica, una sorta di Armageddon musulmana, nella quale è profetizzato  lo scontro finale tra le forze di Allah e i «Romani» (per gli islamici dei primi secoli erano i bizantini). N0n c’è tanto da ridere perché proprio qui sta il cortocircuito che spiazza la mentalità occidentale. Sta in questa credenza da Medioevo  che si diffonde a macchia d’olio e si fa forza storica in pieno XXI secolo. Secondo l’autore,  estirpare dai cuori e dalle menti di tanti giovani immigrati di seconda e terza generazione il richiamo oscuro del Jihad estremo non è meno importante che cancellare a suon di bombe e di missili il Califfato dalla mappa del Medioriente. È cruciale prosciugare le fonti del proselitismo jihadista attraverso una convinta battaglia culturale. Tale  battaglia può essere vinta a due condizioni: 1) disattivare gli equivoci del politically correct (per Di Lello è «il nemico interiore dell’Europa, è la forma ideologica del suo declino e del suo invecchiamento»);  2) riscoprire il valore della statualità (lo «Stato europeo si è storicamente affermato per porre fine alle guerre di religione del XVI e XVII secolo»). È in questo valore che risiede la vera «laicità», non certo nel burocratismo di quei presidi che vogliono cancellare i simboli del  cristianesimo nelle scuole pubbliche. Occorre un «riarmo culturale» dopo decenni di disarmo psicologico e spirituale.

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