Turchia, dopo Putin, l’Iran: «Abbiamo le prove dei traffici di petrolio dell’Isis»

5 Dic 2015 13:45 - di Giulia Melodia

La Turchia sotto attacco: diplomatico e mediatico. Mentre prosegue la guerra fredda con Mosca, Ankara accusa il colpo inflitto dal premier iracheno che ha chiesto il ritiro delle truppe da Mosul, e proprio nelle stesse ore in cui l’Iran rincara la dose delle accuse rivolte dalla Russia a Erdogan di traffici illeciti sul petrolio dell’Isis.

Turchia, l’Iraq vuole il ritiro delle sue truppe da Mosul

Non usa mezzi termini il premier iracheno Haider al Abadi: la Turchia deve «ritirare immediatamente» le sue truppe da Mosul in Iraq, e lo chiede con veemenza precisando che Baghdad «non ha avallato nessun dispiegamento di truppe» turche nell’area. Per Ankara, invece, le forze presenti sul campo, «150 soldati», sarebbero in «missione di addestramento», assieme a 25 carri armati. E non è ancora tutto: secondo fonti Usa i militari dislocati sarebbero ben più di un centinaio, anzi: arriverebbero fino alle 1.200 unità. Come accade fin troppo spesso in quest’ultimo concitato contraddittorio bellico-diplomatico sul fronte dell’Isis (e sul ruolo della Turchia in merito), accuse e smentite, annunci e repliche sono a dir poco discordanti. Dunque, secondo quanto affermato da Ankara, i militari turchi sarebbero penetrati nel territorio iracheno per una missione di addestramento dei soldati di Baghdad, nel campo di Zalkhan, nei pressi di Mosul. La risposta a questa controversa intepretazione dei fatti, però, arriva ancora una volta da Abadi, che sulla questione ha concluso seccamente: «Siamo profondamente contrariati dall’azione della Turchia, devono rispettare la nostra sovranità territoriale e ritirarsi immediatamente». A margine, infine, va ricordato che la roccaforte di Mosul è stata conquistata dall’Isis nel giugno del 2014. Che la disfatta dell’esercito iracheno ha spinto Abadi a cambiare circa 300 comandanti e, infine, che l’ex premier Nuri al-Maliki è stato incriminato da un’apposita commissione d’inchiesta del parlamento di Baghdad per la caduta della città.

L’Iran: abbiamo le prove del commercio di petrolio dell’Isis in Turchia

Dopo l’affondo iracheno, poi, è la volta della stoccata iraniana. «Se il governo turco non ha informazioni sul commercio di petrolio da parte dell’Isis nel suo Paese, siamo pronti a metterle a sua disposizione», ha detto il segretario del Consiglio per il discernimento (organo deputato a risolvere le controversie tra Parlamento e Consiglio dei Gardiani) Mohsen Rezai intervenendo sul braccio di ferro tra Putin e Erdogan in merito alle accuse del leader del Cremlino inerenti illeciti traffici di petrolio dell’Isis con la Turchia. I consiglieri militari iraniani in Siria, ha proseguito Rezai, «hanno fatto foto e filmato tutto il percorso dei camion che portano il petrolio dell’Isis in Turchia, prove che possono essere rese pubbliche». Quindi, a margine di denunce e smentite, Rezai ha anche sottolineato come i Paesi impegnati nella lotta contro il terrorismo dovrebbero mantenere la calma e concentrare tutte le energie sulla guerra all’Isis: un implicito riferimento alle recenti tensioni tra Russia e Turchia, ma anche al ruolo di mediazione tra i due Paesi che l’Iran cercherebbe di svolgere. Intanto, mentre il tavolo delle diplomazia impegnato su più fronti nello scacchiere jihadista affronta le discussioni in agenda, gli aerei da caccia della Raf britannica hanno eseguito la seconda missione in Siria dopo il via libera del Parlamento ad azioni militari contro l’Isis nel Paese. La missione, di cui ha dato notizia la Bbc, è stata portata a termine da due aerei Tornado e due Typhoon, che hanno colpito pozzi petroliferi. Il primo raid era stato lanciato giovedì scorso con quattro Tornado, che avevano colpito pozzi petroliferi dello giacimento di Omar, nell’est della Siria.

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