Acca Larenzia non è dimenticata ma non c’è un colpevole (foto gallery)
Ricorre il 38° anniversario della strage di via Acca Larenzia, nella quale persero l’avita tre giovani missini, Franco Bigonzetti (1958), Francesco Ciavatta (1959) e Stefano Recchioni (1958). Tutti giovanissimi, assassinati i primi due dai Nuclei armati per il contropotere territoriale, che rivendicarono l’eccidio, e il terzo da un carabiniere. La magistratura però non è riuscita a fare luce su nessuno dei responsabili dei tre omicidi. Ma i tre giovani non furono vittime di un caso, di un incidente, erano anni che lo slogan della estrema sinistra (e non solo estrema) era «uccidere un fascista non è reato». Dieci giorni prima era stato assassinato al Portuense, a Roma, un altro attivista missino, Angelo Pistolesi, in un agguato sotto casa sua da killer rimasti sempre sconosciuti. «Mi ricordo che appena saputa la notizia andai in motorino, insieme con Francesco Ciavatta, sul luogo dell’agguato», ricorda Ivo Camicioli, allora giovanissimo segretario giovanile della sezione di via Acca Larenzia, la sezione Tuscolano. Questa era una delle 30\40 sezioni che il Movimento Sociale Italiano aveva allora a Roma, ed era una sede di frontiera, in un quartiere difficile, rimasta praticamente l’unica della zona dopo la chiusura – per attentati – delle vicine sedi del Quadraro, Centocelle, Quarto Miglio e il circolo autonomo di via Noto, distrutto anch’esso da una bomba. Rimaneva aperta nella zona solo la sezione di piazza Tuscolo, la Appio Latino Metronio. È bello scrivere che sia Acca Larenzia sia la Appio sono oggi ancora aperte. Come detto, la strage era nell’aria, e addirittura avrebbe potuto essere compiuta già nel marzo del 1977, quando un analogo commando assaltò la sede, senonché la strage fu evitato proprio perché Camicioli si accorse di queste persone che stazionavano nei pressi, e addirittura spararono mentre Camicioli andava a dare l’allarme. La presenza dei ragazzi del Fronte della Gioventù era mal tollerata dai comunisti nel quartiere, che non potevano sopportare che i “fascisti” competessero con loro sul piano sociale: «Gli scontri li avevamo soprattutto con l’Autonomia operaia dell’Alberone, con i nuclei della sinistra del liceo XXIII e anche con il Pci di via Manlio Torquato, seppur in misura minore. I ragazzi del Msi non avevano agibilità di alcun tipo, venivano aggrediti in ogni circostanza, mentre affiggevano manifesti, mentre effettuavano volantinaggi, mentre facevano opera sociale nel quartiere. Ma non si arresero mai. Ancora Camicioli: «L’ultima segretario della sezione di via Acca Larenzia era stato Attilio Russo, dei Volontari Nazionali. Dopo di lui, la Federazione non aveva ancora nominato nessuno, così rimasi solo io il responsabile della sede, anche se c’erano numerosi attivisti più grandi, anche provenienti da altre sezioni, che lavoravano con noi».
La sezione di Acca Larenzia era attivissima nel quartiere
La sezione era attiva soprattutto nel settore sociale, ad esempio stava conducendo una battaglia per rendere verde pubblico l’ex vivaio di Villa Lais, battaglia che vincemmo qualche mese dopo. I nostri ragazzi si ritrovavano, oltre che in sezione e a Villa Lais, nei bar di via Montecastrilli e in quello di via delle Cave. Ma oltre a quella del marzo 1977, ci fu un altro gravissimo fatto il 12 dicembre di quello stesso anno, quando, per l’anniversario della strage di piazza Fontana, inspiegabilmente attribuita alla destra, un centinaio di estremisti di sinistra, armati di tutto punto assaltarono nuovamente via Acca Larenzia. «Ricordo che eravamo alcune persone dentro i locali, tra cui alcune ragazze, quando sentimmo dei botti provenire dall’esterno della porta blindata, che per fortuna era chiusa. Capimmo immediatamente quanto stava accadendo, e riuscimmo tutti a fuggire dalla finestrella sul retro, mentre il commando comunista entrava nella sezione dopo aver sfondato il portone con mazzette e picconi. Incendiarono e distrussero tutto». Era solo uno dei tanti episodi che la sinistra estrema compiva nei confronti di quelli che non la pensavano come loro. «Comunque – prosegue Ivo – poiché eravamo nel periodo natalizio, ci mettemmo di buona volontà a ritinteggiare la sezione, a rimetterla a posto e organizzammo anche una festa per l’inaugurazione dei nuovi locali..». Poi, il 7 gennaio, la strage. Per la dinamica, ormai nota, rimandiamo al bellissimo articolo sul Giornale d’Italia di Maurizio Lupini, sopravvissuto alla strage, che quel giorno insieme a Enzo Segneri e Giuseppe D’Audino, si trovava nella sede con due delle tre vittime. Ecco come Camicioli seppe della strage: «Quel pomeriggio ci eravamo mossi tutti per andare a fare un volantinaggio in Prati, sia per la chiusura da parte della questura della sezione di via Ottaviano (anch’essa oggi ancora aperta, ndr) sia per un concerto degli Amici del Vento. In sezione erano rimasti Bigonzetti, Ciavatta, D’Audino, Segneri e Lupini. Decisero anche loro di venire a Prati, e Ciavatta lasciò un biglietto (riportato in foto) per avvisare gli altri dove fossero. Dopo il volantinaggio a Prati – prosegue Camicioli – tornammo in sezione, ma trovammo blindati e forze dell’ordine. Deviammo allora su Villa Lais, dove incontrammo altri camerati che ci raccontarono cosa era successo, senza però essere in grado di precisare di più. Davanti alla sezione c’era ancora il corpo di Bigonzetti, che era un giovane studente di medicina proveniente da Torpignattara. Non era un attivista fisso della sezione, ma solo un bravissimo simpatizzante, ci frequentava perché andava proprio al liceo XXIII. A quel punto ci separammo: Lupini andò in sezione e io fui “sequestrato” in casa, che era proprio sopra la sede, dai miei genitori, e dalla finestra potei vedere tutto. Successivamente scesi anche io». Quella stessa mattina ci erano stati scontri su via Appia con gli estremisti di sinistra, il clima era tesissimo. Solo successivamente si apprese che la famosa mitraglietta, utilizzato dalla Brigate Rosse per numerosi omicidi e anche ad Acca Larenzia, era finita chissà come nelle mani delle frange extraparlamentari della zona. Domenica, ossia il giorno successivo alla strage, ci fu una manifestazione spontanea dei missini della zona all’Alberone con scontri di piazza, nel corso dei quali un attivista di sinistra fu ferito. Il martedì successivo, poi, ci furono pesanti scontri tra missini e forze dell’ordine, conclusi con decine di arresti e numerosi feriti.
La strage di via Acca Larenzia cambiò tutto
«Dopo la strage – racconta ancora Camicioli – la sezione fu oggetto di grandissima solidarietà da parte di tutta la comunità romana: moltissimi attivisti si trasferirono da noi, e ogni giorno c’erano almeno cento persone nei locali della sede. Potemmo così occuparci in maniera più forte dei problemi della zona, demmo vita al Comitato di protesta popolare, ci occupammo delle tematiche sociali e culturali, con l’avvio di cineforum, dibattiti, conferenze, incontri, oltre che della questione di Villa Lais. Ma non ci lasciarono mai in pace: pochi mesi dopo ci misero un’altra bomba, poi altre ancora, iniziarono ad aspettarci sotto casa, incendiarono le abitazioni degli attivisti, subimmo aggressioni per le strade. Eravamo sempre più accerchiati, grazie anche alla tolleranza delle istituzioni, tolleranza che portò al potenziarsi dei gruppi terroristi di estrema sinistra. Ma non chiudemmo mai». La strage, come è noto, non ha colpevoli, perché quelli – vicini a Lotta Continua – indicati da una pentita furono poi tutti assolti, così come il carabiniere accusato di aver sparato a Recchioni. Pochi giorni dopo la strage, i camerati di via Acca Larenzia apposero tre targhe, una sola delle quali ancora visibile. Su questa, dedicata a Francesco Ciavatta, si legge: «Ora che l’ipocrisia inutile dei discorsi si è spenta, ora che sei soltanto un ricordo, ora ti voglio parlare. Per chi sei morto? Non importa, ci credevi. È stato inutile? Non importa, ci credevi». Sulla targhe per Franco Bigonzetti c’era scritto: «Adesso che sono nel vento non c’è odio per chi una sera mi uccise», e su quella per Stefano Recchioni scrissero: «Nell’età che ancora non conosce la vita ho conosciuto la morte». A questo proposito, qualcuno mi raccontò che nei giorni immediatamente successivi alla strage, a un ragazzo presente sul posto si avvicinò un signore, che gli chiese di indicargli il posto preciso dove era stato assassinato Stefano. Saputolo, ringraziò e andò a mettere un fiore. Il ragazzo solo dopo seppe che si trattava del papà di Stefano. La vicenda ha una coda: pochi mesi dopo il padre di Ciavatta, si uccise per la disperazione. E l’anno dopo il giovane Alberto Giaquinto fu assassinato con un colpo alle spalle da un poliziotto in borghese mentre partecipava a una manifestazione per ricordare i caduti di via Acca Larenzia.
Gasparri e Storace: su Acca Larenzia commissione d’inchiesta
«Trentotto anni non bastano per cancellare il dolore che resta enorme della strage di Acca Larenzia, quel lutto di una comunità che piange i suoi assassinati dall’odio comunista davanti una sezione del Msi. Franco, Francesco e Stefano, quante volte quei nomi – Bigonzetti, Ciavatta, Recchioni – sono risuonati nella nostra testa. Solo un miracolo, quella sera maledetta del 1978, evitò che la gragnuola di pallottole continuasse il suo triste martirologio con i nomi di Maurizio, Enzo, Pino». Lo scrive Francesco Storace, segretario nazionale de La Destra e vicepresidente del Consiglio regionale del Lazio ricordando la Strage di Acca Larentia del 7 gennaio 1978. «Oggi commemoreremo quei Caduti, per i quali non è stata fatta giustizia, col rito religioso che si celebra all’interno della cripta della chiesa romana dei Sette Santi Fondatori, alle 18, in piazza Salerno. Fu infame logica stragista – prosegue Storace – per cui si doveva ammazzare chiunque uscisse in quel momento da quella sezione. In quell’eccidio emerse tutta l’infamia di un progetto, sangue chiama sangue, destinato a provocare lutti su lutti. E troppe volte ci chiediamo se sia stato vano quel sacrificio. Facevamo politica, eravamo invece in guerra. E fa rabbia enorme, oggi – aggiunge Storace – vedere l’odio che trasuda da un computer: chi strilla protetto da una tastiera non sa che cosa voleva dire, allora, ripararsi dalle P38 e dalle Skorpion. Si sparava, oggi si twitta. Eroi ieri, ridicoli oggi. In Parlamento si alzava in quelle ore Giorgio Almirante, a dare voce al dolore di tutti noi. Trentotto anni dopo vorremmo noi chiedere ai pochi deputati e senatori che hanno avuto in tasca la tessera del Msi o anche di An, di avere la voglia e la forza per chiedere e ottenere luce sulla strage. Fosse anche solamente una commissione d’inchiesta per raccogliere le carte e cercare e svelare chi ha negato e impedito che a Franco, Francesco e Stefano venisse resa giustizia, chi fece scappare gli assassini, chi evitò che pagassero per le loro responsabilità gli esecutori dell’agguato, chi nascose i mandanti. Oggi – conclude Storace – pregheremo per la verità su quel sangue nostro». «È giusto l’appello a quanti hanno vissuto in prima linea la stagione drammatica degli anni ’70 ed erano ad Acca Larentia il giorno di quella terribile strage perché si istituisca una commissione d’inchiesta che faccia finalmente luce su una carneficina di cui la magistratura colpevolmente non ha voluto ricercare i responsabili. Mi farò promotore di questa proposta anche se confido in un guizzo di coraggio della Procura della Repubblica di Roma. Basta andare in libreria e comprare i testi che spiegano esattamente da dove sono partiti gli assassini che colpirono quel 7 gennaio del 1978 i ragazzi che uscivano dalla sede del Msi. Ci sono state rivelazioni mai contestate ed evidenti, che indicano con precisione gli ambienti della sinistra dai quali sono venuti i sicari del Tuscolano. Perché Pignatone non legge uno di questi libri e riaccende la mente su quei tragici fatti? È comunque giunto il momento trentotto anni dopo assumere anche giuste iniziative parlamentari», ha detto il senatore Maurizio Gasparri (FI). Anche quest’anno numerose le manifestazioni di commemorazione previste: una messa sarà celebrata nella chiesa dei Sette Santi Fondatori, una corona sarà posta al Parco della Rimembranza dai giovani di Gioventù Nazionale, davanti alla sezione da Fratelli d’Italia e da Azione Nazionale, Casapound e Forza Nuova celebreranno in serata il rito del “presente!” sul luogo dell’eccidio. Un’altra deposizione di fiori avverrà alla mezzanotte al Foro Mussolini, oggi Foro Italico, da parte di gruppi vicini ad Avanguardia Nazionale. Ma per tutto il giorno si svolge una ininterrotta processione di persone, sole o in gruppo, che sono andate davanti la sede del Msi a portare un fiore o un semplice pensiero.
Stefano Recchioni pochi minuti prima di essere assassinato
L’esterno della sezione dopo l’a strage
Almirante, Romualdi e Gramazio accorrono sul luogo della strage
Il gippone della polizia sfonda la porta della sede
Il funerale di Franco Bigonzetti su una foto dell’Unità
La scritta comparsa poco dopo l’eccidio
Una foto di Il Tempo con i tre giovani caduti
L’esterno della sede la sera del 7 gennaio
Un ricostruzione della dinamica dell’attentato
L’ultimo biglietto di Francesco Ciavatta
Il portone della sezione dopo l’assalto del 12 dicembre 1977
Una scritta fatta pochi minuti dopo l’agguato
Un gruppo di iscritti ad Acca Larenzia a un campeggio
La targa per Francesco Ciavatta di fronte la sede