Intollerabile coro femminista in soccorso dei migranti: i maschi sono tutti stupratori

12 Gen 2016 16:46 - di Redattore 54

Ma le femministe l’hanno visto o sentito quello che Il Foglio ha battezzato “lo stupro multikulti di Colonia”? Secondo Christina Hoff Sommers, scrittrice americana che si fa vanto di fustigare le femministe distratte, “se i predatori di Colonia fossero stati tifosi europei di calcio o i membri di una fraternità studentesca americana, ci sarebbe stata una immediata e feroce levata di scudi femminista”. Ciò accade perché il femminismo sarebbe ancora succube dell’idea che anche l’Occidente patriarcale è indifendibile perché costruito da maschi oppressori e come tale condannabile quanto, se non di più, le violenze commesse dall’Isis o dagli immigrati di Colonia. La cultura dello stupro (se così vogliamo definirla) è in definitiva un’invenzione del “maschio bianco”, addirittura rintracciabile nei racconti mitologici sull’incontinenza sessuale di Zeus. Questo si vanno ripetendo le femministe, come una sorta di racconto autorassicurante che trova la sua sintesi nella vignetta di Vauro che raffigura un energumeno con camicia sbottonata e crocifisso al collo (particolare che dice tutto…) il quale pensa dopo i fatti di Colonia a uno “scatto d’orgoglio” e cioè: “le nostre donne ce le stupriamo noi”. Chi è il soggetto cui Vauro si ispira? Un fascista, un neonazista, un leghista, uno delle Sentinelle in piedi? Chi lo sa. Però dice ciò che l’orecchio progressista vuole sentirsi dire: gli stupri sono connaturati ontologicamente alla condizione maschile. Ogni preoccupazione per i comportamenti degli immigrati e per la sottocultura tribale che considera la donna come cosa e che purtroppo arriva da noi con il solo filtro degli scafisti è vacua propaganda “alla Salvini”. E’ anche così che la sinistra si ritaglia il suo spazio da eterna perdente.

La resa del femminismo dinanzi alle violenze di Colonia

Se si vanno a leggere le argomentazioni delle donne di sinistra o culturalmente vicine a quell’area politica esse ricalcano più o meno tutte questo schema, una sorta di luogo comune granitico che impedisce loro di confrontarsi con la realtà, proponendo la stessa risposta ideologica forgiata quarant’anni fa ma ormai inservibile e consunta. Chiara Saraceno, ad esempio, commentando Colonia, ci tiene a farci sapere che “oltre il 70% degli aggressori sessuali sono tedeschi, il 30% straniero. È tuttavia molto più difficile che un tedesco sia condannato e denunciato rispetto a uno straniero”. Non suona come una non troppo velata minimizzazione? Prendiamo Ida Dominjanni: “Un branco di maschi è un branco di maschi. A qualunque latitudine e di qualunque colore (anzi: “colore presunto”) essi siano”. E sempre al branco si richiama Natalia Aspesi, non senza ricordare che sono “sessisti” anche i fan di Checco Zalone. Poi c’è Dacia Maraini, che fa anche lei l’elenco delle violenze che gli occidentali praticano contro le donne che sfuggono al loro possesso e si premura di far sapere che le aggressioni di Colonia non c’entrano con l’Islam. Che non siano una questione religiosa è certo: anche perché si trattava di maschi che avevano assunto alcol e forse anche qualcos’altro. Ma perché destrutturare la gravità dell’accaduto in questo modo? Perché preoccuparsi in modo così infantile e scontato di fornire un’interpretazione opposta a quella della destra che parla di oltraggio alle donne europee? Nascondere l’evidenza (e cioè che molti degli immigrati, che siano profughi o no, sono affascinati dalla cultura salafita che pretende di relegare le donne tra le mura domestiche) nuoce al femminismo, alla società, alla sinistra e alla logica. In fondo, ha ragione Stefano Zecchi quando osserva che ai tempi del terrorismo i “cattivi maestri” e chi ne metteva in pratica i predicati trovarono degli anticorpi culturali che riuscirono alla fine a vanificare quelle farneticazioni violente. Oggi, questa cultura antifemminista che ha la sua matrice in un’interpretazione fanatica dell’Islam quali anticorpi trova? Ora, la cultura femminista dovrebbe rappresentare almeno uno degli anticorpi con i quali contrastare i sessismo di tanti immigrati. Che senso ha questa resa? Che senso ha questo invocare ancora come nemico il maschio bianco e oppressore per autoconvincersi che il maschio maghrebino è sempre buono, fragile, bisognoso di accoglienza? Non ha alcun senso. Anzi, questo generalizzare è un’offesa all’intelligenza delle donne, consapevoli delle dimensioni di massa – allarmanti – di ciò che è accaduto. Se le femministe italiane non hanno di meglio da esprimere dinanzi a fatti come quelli di Colonia non si lamentino poi se la sinistra al femminile è oggi rappresentata da Maria Elena Boschi o da Pina Picierno.

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