La rabbia della Castaldini: «I tg parlano poco di Ncd, i talk show ci ignorano»
Eccola, Valentina Castaldini. È furibonda. Vuole che nei telegiornali si dia più spazio al Ncd. Sembra quasi che il suo partito sia vittima di un complotto. Sembra che tutti abbiano paura di far ascoltare la voce degli alfaniani che, in pochi minuti, sarebbero capaci di convincere le masse con le loro fantastiche e rivoluzionarie idee. E sembra che gli italiani siano tutti elettori del Ncd. «I dati che l’Agcom pubblica mensilmente parlano chiaro: Area popolare e il Nuovo centrodestra sono nettamente sottorappresentati rispetto ad altre forze politiche, meno presenti in Parlamento e con risultati inferiori nelle ultime consultazioni nazionali che possono fornire un punto di riferimento oggettivo come le europee del 2014, a meno che non si voglia seguire il quotidiano listino dei sondaggi, che proprio in occasione delle Europee dimostrò tutta la sua fallacia», dichiara la Castaldini, portavoce nazionale del Ncd.
La rabbia della Castaldini contro tutte le tv
«I numeri – continua la Castaldini – parlano chiaro: i talk show delle tre reti del servizio pubblico nei mesi di novembre e dicembre hanno dato spazio a esponenti di Area popolare e del Nuovo centrodestra per 59 minuti, dedicando ben 6 ore e 45 minuti a Salvini e alla Lega. Se guardiamo alle interviste nei Tg, sempre nei due mesi citati, lo spazio per Ap-Ncd è stato di 14 minuti e mezzo, quello della Lega di 33 minuti. Non che le cose migliorino sulle reti Mediaset, dove i telespettatori delle edizioni principali dei tre Tg del Biscione in due mesi hanno potuto ascoltare un esponente di Ncd per un totale di 3 minuti nel mese di dicembre e di 44 secondi in quello di dicembre. Lo squilibrio – evidenzia la Castaldini – è evidente a chiunque, parlare di correttezza dell’informazione di fronte a questi dati è quantomeno un eufemismo. Area popolare e il Nuovo centrodestra attiveranno in commissione di Vigilanza Rai (per Mediaset se la vedano con la deontologia professionale) tutti gli strumenti per correggere questa situazione gravemente discriminatoria per chi rappresenta nelle istituzioni un milione e duecentomila elettori italiani». Se questa è la Rai di oggi, conclude, «ridateci quella di ieri. Non ho nessun rimpianto per il manuale Cencelli applicato al pluralismo televisivo, ma un’idea seppur minima di rappresentanza delle opinioni e delle ragioni delle forze politiche presenti in Parlamento va conservata, se si vuol parlare, appunto, di pluralismo del servizio pubblico nella comunicazione politica».