Sergio Leone oggi avrebbe 87 anni: un genio che la sinistra non comprese
Oggi Sergio Leone avrebbe compiuto 87 anni. No, non è un anniversario tondo, quello che in questo 3 gennaio ricorda la sua nascita nel 1929, ma ogni occasione di tornare a parlare di un assoluto genio del cinema è buona: e non va sprecata. Regista lungimirante e innovatore, eclettico eppure mastodontico, personalità che ha segnato a caratteri di fuoco la storia di celluloide regalando all’immaginario una galleria di personaggi mitici, a partire dall’intramontabile Clint Eastwood con poncho sulle spalle, pistola sempre in mano e immancabile sigaro in bocca, leggendario protagonista degli spaghetti western che Leone creò e caratterizzò con la sua inimitabile firma d’autore.
Sergio Leone e la rivoluzione “americana”
Un cineasta scomparso troppo presto, a soli 60 anni, il 30 aprile del 1989, dopo aver firmato da regista otto titoli cult, che gli sono comunque stati sufficienti a farlo annoverare tra i più grandi autori del Novecento. Un talento, il suo, che il mondo ci invidia, e che la fabbrica dei sogni a stelle e strisce ha saputo valorizzare più tempestivamente dell’industria made in Italy: un privilegio che Leone avrebbe ricambiato con la realizzazione di quell’indiscusso capolavoro che è C’era una volta in America, ascissa estetica e ordinata spettacolare di quella che sarebbe stata la nuova identità postmoderna del cinema dall’uscita di quella pellicola in poi. Una rilettura dell’epopea americana, asciugata dall’annacquamento dell’american way of life e dalle edulcorazioni formali e narrative dell’american dream di cui, fu proprio lo stesso Leone a dirlo, <<non frega niente a nessuno>>. Un punto di partenza, la sua grammatica cinematografica, che avrebbe instradato e guidato autori come Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Oliver Stone e Quentin Tarantino, solo per citare un sontuoso, ma parziale, manipolo di suoi eredi doc.
Sergio Leone, cineasta di destra nel far west della cultura di sinistra
Eppure il cammino artistico di Sergio Leone, autore rivoluzionario nella sua idea di cinema quanto ieratico nella sua traduzione sul grande schermo, non è stato sempre facile e diretto, a partire da un ostruzionismo sterilmente accademico che la critica di sinistra, invischiata nei suoi dogmi autoriali e nei suoi diktat demagogici, ha a lungo opposto allo scardinamento di sistemi estetici e valori culturali che Leone ha portato con la sua produzione cinematografica. Salvo, naturalmente, postume rivalutazioni e sporadiche appropriazioni. Gli hanno sempre dato, spregiativamente, dell’”uomo di destra”. Del “fascista” nudo e crudo; lo hanno a più riprese rinnegato artisticamente, e a ben vedere proprio per quelle che poi sarebbero state le sue peculiarità autoriali più amate e omaggiate: un certo disprezzo dell’utilitarismo, l’esaltazione secca del coraggio, l’introduzione di un nuovo concetto spettacolare di avventurosità, la veemenza delle sequenze violente, la destrutturazione e rimodulazione del ritmo del racconto cinematografico da cui sarebbe ripartito soprattutto Quentin Tarantino – non a caso, anche lui, tacciato dagli integralisti della critica appartenenti ai salotti di certa intellighenzia dem di essere un cineasta “di destra “-, l’esaltazione di quello che è stato spesso definito un certo “disincanto nichilistico” e, per ultima, quell’impronta ieratica conferita – dalla sceneggiatura al lavoro con gli attori sul set – ai suoi scultorei protagonisti, a partire proprio da quelli della trilogia del dollaro. Un genio, come si diceva poco sopra, che il mondo ci invidia e continuerà ad invidiarci a lungo. Un talento che si è spento troppo presto.