Alfano vincitore? No, perde pezzi. Sacconi: «Dopo le unioni civili, l’eutanasia?»
«Prendo la parola per annunciare in aperta dissenso con il mio gruppo che, assieme altri colleghi, non voto la fiducia per ragioni di merito e metodo». Ieri, in aula, il senatore alfaniano del Ncd, Maurizio Sacconi, è stato il più duro contro i suoi stessi compagni di gruppo, quelli di Ap, che si apprestavano a votare a favore della Cirinnà modificata. Sacconi, che ha lasciato l’aula al momento del voto con altri sei colleghi del Ncd e lascia intedere che potrebbe lasciare il partito, ha sottolineato come il voto di fiducia “sottragga la disponibilità di manifestare in libertà il proprio pensiero” e rivolgendosi alla sinistra li ha invitati a “interrogarsi” su cosa fosse accaduto se una simile eventualità si fosse registrata con il governo Berlusconi. «Sincero rispetto per la posizione del M5S», sottolinea ancora Sacconi che, nel merito del ddl, osserva come il testo apra “ad una rivoluzione antropologica”. E a Libero ha spiegato: «Con questa legge le adozioni gay rientreranno dalla finstra, è inevitabile, come conseguenza del fatto che le unioni civii sono state ricalcate sui matrimoni. Dopo il dd Cirinnà è all’ordine del giorno il disegno di legge per l’eutanasia…».
La vittoria di Pirro di Alfano e Renzi
A un decennio dalla partita persa dei Dico e diversi mesi dopo le previsioni dello stesso premier Matteo Renzi, dunque, è arrivato il via libera al testo sulle unioni civili, ma le polemiche che l’hano accompagnata sono lo specchio dell’odissea che al Senato ha segnato l’iter del ddl, privato alla fine, oltre che dell’obbligo di fedeltà di quella stepchild adoption che divideva Pd e maggioranza. Dentro al Palamento le divisioni non sono mancate, vedendo nell’ordine, la trincea di Ap e quella, contro le adozioni, dei Cattodem, le resistenze di Giovani Turchi e minoranza Pd a cancellare la stepchild e le barricate dell’opposizione del centrodestra contro il canguro Marcucci e la questione di fiducia. Punti, questi ultimi, che hanno causato lo sgretolamento della fragile alleanza Pd-M5S, deflagrata in Aula nel sonoro “vaffa” pronunciato contro Renzi e il Pd dal 5S Alberto Airola. Alla fine il sì alle unioni civili è arrivato dalla maggioranza di governo, meno 2 senatori Dem (Manconi e Casson) e 6 di Ap, con Maurizio Sacconi che -come sottolineato sopra – non ha nascosto la “delusione” per la gestione, da parte del suo partito, dell’accordo. Determinante per il voto e politicamente “ingombrante” per Renzi è il sì alla fiducia di Denis Verdini, un altro che oggi canta vittoria.