Brexit, a Bruxelles si va avanti a oltranza. Gli inglesi dicono no alla Ue

19 Feb 2016 19:32 - di

Unione europea disperata per la questione della Brexit, l’uscita del Regno Unito dalla Ue. I lavori continuano a slittare di ora in ora: i negoziati sono più complicati del previsto e proseguono gli incontri bilaterali con il premier Cameron, ma anche tra gli altri vertici comunitari. Dalle 11 si è passati alle 13.30, poi alle 14.30, alle 15.30, e poi alla cena, ha comunicato il portavoce del presidente Ue Donald Tusk. Dalla colazione all’inglese si è passati al pranzo all’inglese, poi al tè all’inglese e ora alla cena all’inglese. Lo stesso Tusk e il premier olandese Mark Rutte, che ha la presidenza di turno dell’Ue, si sono già detti pronti a negoziare sino a domenica, facendo parlare di un arrosto all’inglese. Intanto il cerimoniale del Consiglio europeo ha avvertito le delegazioni al seguito dei 28 leader di confermare le stanze d’albergo per la questa notte. Lo si apprende da fonti diplomatiche. E Cameron è tra quelli che certamente hanno confermato l’albergo: è infatti saltata anche la convocazione dei consiglio dei ministri britannico fissata per la serata di venerdì. Lo annuncia con un tweet lo stesso premier Cameron, costretto a restare a Bruxelles dopo lo spostamento alla cena di lavoro della possibile definizione dell’accordo fra Londra e l’Ue. «Non sarà possibile tenere il consiglio dei ministri oggi», scrive Cameron, rinviando la riunione di governo che lui stesso aveva annunciato giovedì e durante la quale si sarebbe dovuta formalizzare la data di svolgimento del referendum (verosimilmente il 23 giugno) sulla permanenza o meno del Regno Unito nel Club dei 28.

Secondo un sondaggio, Brexit ancora in vantaggio

E le notizie che arrivano dall’isola non facilitano certo il lavoro dei burocrati di Bruxelles né dei 28: resta in vantaggio il fronte euroscettico in Gran Bretagna di ben 2 punti, secondo un ultimo sondaggio diffuso mentre a Bruxelles si discute a oltranza. La rilevazione, condotta dall’istituto Tns fra l’11 e il 15 febbraio, accredita un 38% di favorevoli alla Brexit, in vista del referendum sulla permanenza del regno nei 28 che dovrebbe essere convocato subito dopo l’accordo, contro un 36% di filo-europei. Il 7% dichiara di non avere intenzione di votare, mentre resta un 23% d’indecisi, largamente determinante. Se si escludono gli astenuti potenziali, lo scarto a favore degli euroscettici – dati in vantaggio da quasi tutti i sondaggi recenti, ma con margini di variazione altissimi – sale a 3 punti percentuali. Dalla capitale belga non si riesce a sapere nulla: «Ci sono stati molti bilaterali su molte questioni. Ci sono alcuni progressi, abbiamo chiuso alcune questioni ma ce ne sono ancora alcune in sospeso. Pensiamo che ci sia una buona possibilità di chiudere il negoziato alla fine della cena che verosimilmente comincerà alle 20», dice sconsolato un portavoce del Consiglio europeo, che però rifiuta di indicare quali siano le questioni ancora aperte. Che le cose non vadano troppo bene, lo testimonia un disperato appello del presidente francese François Hollande, probabilmente l’ultimo prima dell’inizio delle trattative: «Si troverà un compromesso, lo spero. Faccio tutto il necessario per trattenere la Gran Bretagna nell’Europa. Oggi quello che manca all’Europa è un progetto», ha concluso. E l’hashtag #Brexit è sempre più popolare: secondo Le Figaro online, è stato utilizzato circa 9mila volte in tutto il mondo tra le 9 e le 14 italiane di venerdì, con una decisa concentrazione nell’Europa occidentale, proprio mentre i capi di Stato e di governo dei 28 sono riuniti a Bruxelles. Il quotidiano ricorda che il termine Brexit è stato coniato nel 2012 in quanto contrazione tra British (britannico) e Exit (uscita), accanto al fratello maggiore Grexit dedicato alla Grecia, probabilmente da un giornalista del prestigioso settimanale britannico The Economist. Nell’agosto 2015 Brexit era entrato addirittura nel dizionario online di Oxford, OxfordDictonaries.com.

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