Con il business dei migranti investivano sui biglietti della Champions League

26 Feb 2016 10:39 - di Giorgia Castelli

Dopo Mafia capitale, lo scandalo di Mineo e altre inchieste diffuse su e giù per lo Stivale è scoppiato un nuovo caso sulla gestione dei migranti. Questa a volta a finire sotto la lente di ingrandimento della magistratura sono stati i pocket money, i buoni da due euro e mezzo al giorno che venivano distribuiti fino al 2014 ai migranti per le loro piccole spese e che invece finivano nelle tasche di chi li gestiva. A scoprire il caso è stata la procura di Napoli e l’indagine si è conclusa, la primavera dello scorso anno, con l’arresto di un imprenditore nel sociale Alfonso De Martino e della moglie Rosa Carnevale  che operavano attraverso l’associazione “Un’ala di riserva” ed erano anche gestori di una serie di case di accoglienza in Campania. Ora i due andranno a processo  il prossimo 14 aprile.

L’utilizzo dei pocket money e il numero gonfiato dei migranti

Ma ora la vicenda si arricchisce di nuovi dettagli. Come si legge sul Giornale, con i due investivano i soldi destinati ai profughi in case, svago e anche in biglietti della Champions. Come operava la coppia? Per l’accusa, i due si sarebbero appropriati dei pocket money gonfiato i numeri degli ospiti delle varie strutture. E fatturando spese per oltre centomila euro per frutti di mare destinati ai profughi,. In totale la somma, secondo i pm, ammonterebbe a due milioni e mezzo di euro. Una cifra che l’avvocato della coppia, Maurizio Messuri ha contestato e ridotto a 180mila euro.

Spesi  5.700 euro per i biglietti di una partita di Champions league

Ma ciò che è saltato agli occhi dei magistrati è stato il modo in cui queste somme sono state investite: terreni, appartamenti e anche una spesa di 5.700 per comprare 37 biglietti per la partita Napoli-Chelsea dei Champions League disputata nel 2012. Ed ecco i luoghi dove secondo l’accusa sono stati investiti i soldi: c’è un immobile a Milano, uno a Pozzuoli, l’affitto di un bar a Pozzuali. E anche schede per ricariche telefoniche per una somma di 733mila euro.  In sostanza, secondo, i magistrati De Martino avrebbe convertito i pocket money in contanti versandoli all’edicola della moglie.  L’avvocato Messuri ha contestato tutti i punti e ora la parola passerà al giudice. Nel frattempo, come si legge sempre sul  Giornale, il filone dell’inchiesta si è allargato portando a galla anche presunte complicità istituzionali: ci sarebbero ombre sul ruolo della Caritas e della Regione che ha due funzionari indagati.

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