Damasco: «Non invadeteci o i soldati stranieri torneranno a casa nelle bare»
Damasco mette in guardia tutti coloro che da oltre due anni stanno armando terroristi islamici per effettuare un colpo di Stato contro il legittimo presidente Bashar al Assad. Torneranno in patria nelle bare i militari stranieri che entreranno in Siria: lo ha detto il ministro degli Esteri siriano Walid al Muallim commentando le affermazione delle autorità saudite di esser pronte a inviare soldati in Siria contro l’Isis. «Ogni attacco al territorio siriano senza il consenso del governo sarà considerato un atto di aggressione e ci si comporterà di conseguenza», ha detto Muallim, aggiungendo che «i militari stranieri torneranno a casa nelle bare». Le forze governative siriane sono sostenute sul terreno da miliziani di diversi Paesi, dai Pasdaran iraniani e da un imponente dispiegamento militare russo a sostegno dei raid di Mosca nel Paese. Intanto i combattimenti fanno fuggire la popolazione siriana: ma la Turchia mantiene chiusa la frontiera con la Siria, a Bab al-Salam, per il secondo giorno consecutivo, anche se una quindicina di siriani feriti nei bombardamenti ad Aleppo sono stati autorizzati ad entrare nel Paese. E la Ue bacchetta Ankara: «La convenzione di Ginevra valeva prima e vale adesso», dice il Commissario europeo per l’allargamento con riferimento all’obbligo della Turchia di accogliere i profughi ammassati alla frontiera dopo la chiusura dei valichi con la Siria. Parlando del flusso di immigrati che dalla Turchia entra in Grecia, Hahn osserva poi «ora abbiamo meno del 40% di rifugiati siriani ed eventualmente qualcuno di loro ha passaporti falsi». Si è appreso poi che fu il Pentagono a non volere un coordinamento tra gli occidentali per le operazioni anti-Isis in Siria: il ministero della Difesa russo aveva infatti proposto di creare ad Amman un centro consultativo congiunto per coordinare le operazioni in Siria, ma la proposta è stata rifiutata dagli Stati Uniti e da altri Paesi occidentali: lo sostiene il vice ministro della Difesa russo Anatoli Antonov aggiungendo che il 19 gennaio la parte americana ha rifiutato la richiesta del titolare del dicastero, Serghiei Shoigu, di conferire al telefono con il segretario alla Difesa Usa Ashton Carter.
Damasco sta riconquistando vaste porzioni di territorio
La situazione dunque è questa: decine di migliaia di siriani sono ammassati al confine turco nel nord del Paese. Sono in fuga dai raid aerei russi e dall’offensiva militare in corso da giorni da parte delle forze governative guidate sul terreno dai Pasdaran iraniani e dagli Hezbollah libanesi. La Nato da parte sua, su input americano, mette in guardia dall’escalation russa, affermando che Mosca «mina gli sforzi per una soluzione politica al conflitto». Dichiarazione risibile, poiché il conflitto è stato scatenato proprio da quelle potenze che non vedevano di buon occhio Assad, solo che il golpe non è riuscito. Intanto l’esercito siriano negli ultimi giorni ha guadagnato terreno anche nel sud della Siria al confine con la Giordania. Secondo fonti mediche della zona di Aleppo, sono circa 40mila i civili siriani, tra cui moltissimi bambini e donne, in fuga verso Aazaz a pochi chilometri dal confine turco, da mesi chiuso dalle autorità di Ankara. In Turchia l’Onu ha finora registrato circa due milioni e mezzo di profughi siriani. E l’Unione Europea aveva nei mesi scorsi chiesto al governo turco di fare il possibile per limitare che i civili in fuga raggiungano l’Europa dalla Turchia. Le autorità turche hanno cominciato a innalzare un muro di divisione nell’unica zona frontaliera a nord di Aleppo non controllata dall’Isis. L’agenzia ufficiale siriana Sana e siti delle opposizioni hanno riferito della conquista da parte dei governativi di Atman, alle porte di Daraa. La città era stata nel 2011 la prima roccaforte delle proteste anti-regime orchestrate e finanziate da potenze straniere che hanno contribuito a innescare il conflitto intestino ormai da tempo trasformatosi in un incendio regionale. Ora si attende la riunione, prevista la settimana prossima a Monaco di Baviera, dei rappresentanti dei Paesi membri del cosiddetto Gruppo di Vienna, a cui partecipano anche Iran e Arabia Saudita.