Moriva 47 anni fa Ezio M. Gray, dal campo di Coltano al Parlamento

9 Feb 2016 15:47 - di Valerio Zinetti

“Una vita al servizio della Nazione”: così l’8 febbraio 1970, sulle pagine del Secolo d’Italia, Vittorio Battista (il padre fascista di cui il più famoso Pierluigi parla nel suo ultimo libro) ricordava Ezio Maria Gray ad un anno dalla morte, avvenuta appunto l’8 febbraio 1969. Per comprendere il senso più profondo del titolo agiografico si può partire proprio da uno stralcio dell’ultimo comizio di Ezio Maria Gray, tenutosi al teatro Carignano di Torino nel 1968 (anno delle elezioni politiche che vedevano Gray nuovamente in prima linea come candidato al Parlamento per il MSI): “Dal 1921 ad oggi, senza tradire il nostro motto “CON LA NAZIONE SEMPRE, CONTRO LA NAZIONE MAI” abbiamo praticato il dovere e sentito l’orgoglio di servire in pace e in guerra, nella buona e nella cattiva sorte. Servire la Patria nei suoi fondamentali istituti e servire il popolo nelle sue legittime istanze. Senza egoismi restrittivi ma senza avventure insensate. Questo abbiamo fatto escludendo dalla nostra norma di vita la paura, la slealtà e l’affarismo: sapendo dire di no anche quando dirlo era impopolare. Quando tutto crollò non fuggimmo e non ci nascondemmo. Sapevamo che chi perde deve pagare. Pagammo. Quando ci ritrovammo, riprendemmo la stessa strada della Patria e la continueremo finché Dio vorrà. Contro gli stessi avversari di sempre, perché anche se hanno mutato veste e formule, sono gli eterni bastardi che se l’Italia fosse in guerra coi pidocchi starebbero dalla parte dei pidocchi pur di non essere con l’Italia. Ci opporremo come allora alla loro congiura, che è decisamente antinazionale, antireligiosa, antisociale. Impediremo che riducano l’Italia a colonia, il popolo a plebe e la libertà a licenza sfrenata. Nessun merito alla nostra costanza. Quando si è dato tutto alla Patria si è dato ancora meno di quello che alla Patria di deve”.

Nazionalista e soldato in Libia e nella Grande Guerra

Ma al servizio della Nazione Gray si era messo ben prima del 1921. Nato a Novara il 9 ottobre 1884, nel 1910 ha inizio il suo impegno politico e giornalistico con l’Associazione Nazionalista Italiana, assieme a nomi del calibro di Alfredo Rocco ed Enrico Corradini. All’interno del movimento nazionalista Gray sarà una delle guide della corrente dei Conservatori Nazionali, che al congresso del 1914 segnerà il definitivo distacco del nazionalismo dal liberalismo in favore della definizione di un programma politico, sociale ed economico a tutti gli effetti prodromico di quello fascista: le parole d’ordine erano la concezione spirituale ed etica del mondo in contrapposizione al materialismo di matrice socialista e liberale, l’autorità dello Stato, l’economia sociale corporativa, la necessità dell’espansione coloniale italiana e la lotta internazionale tra le nazioni proletarie e quelle plutocratiche.
Soldato nel 1911 volontario come sottotenente di Fanteria in Libia, partecipò all’eroica battaglia di Sciara Sciat e senza esitazione nel 1915 al fronte con i “ragazzi del ‘99” (la partecipazione di Gray alla Grande Guerra gli conferì una medaglia d’argento e una di bronzo al valor militare).

Dalla Marcia su Roma alla Repubblica Sociale Italiana

Fautore della partecipazione del nazionalismo alla resistenza anticomunista (nella “provincia rossa” novarese, una vera e propria roccaforte socialcomunista) Gray aderisce al Fascismo e partecipa alla Marcia su Roma. Fu il primo ad abbracciare Mussolini al suo arrivo nella Capitale il 30 ottobre 1922, prima del conferimento al Duce dell’incarico di formare il governo. Deputato per circa quattro legislature, vicepresidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, Luogotenente Generale della MVSN, membro del Gran Consiglio del Fascismo (nel biennio 1924-1925), componente del Direttorio Nazionale del PNF, consigliere dell’Istituto Nazionale di Cultura Fascista e presidente dell’EIAR (l’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, alias Istituto Luce), Gray veniva chiamato da Mussolini “la suocera del regime”: uomo fedele ai principi e alle idee ma mai d’apparato.
L’8 settembre 1943 Gray sente il richiamo del proprio destino: “Il mio destino è di non tradire”. Aderisce alla Repubblica Sociale Italiana, assumerà nel 1944 la direzione della Gazzetta del Popolo di Torino, succedendo al suo amico fraterno Ather Capelli, ucciso da un gruppo gappista il 30 marzo, colpevole di auspicare una riconciliazione nazionale degli Italiani per scongiurare la guerra civile.
Consegnatosi spontaneamente alla Prefettura di Como dopo il 25 aprile, l’immediato dopoguerra di Gray è segnato dalla damnatio memoriae e da un travaglio fatto di svariate carcerazioni e un soggiorno nel campo di concentramento di Coltano.

Dall’amnistia Togliatti al Parlamento. In prima linea per l’Italia

Processato dall’Alta Corte di Giustizia a Roma nell’ottobre 1945, Gray verrà condannato a vent’anni di carcere per la sua adesione al regime fascista e alla RSI: l’accusa stessa lo assolse da ogni addebito relativo a reati penali e patrimoniali. Liberato a seguito dell’amnistia Togliatti, Gray non rinuncerà all’impegno politico, che lo vedrà il 26 dicembre 1946 tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano e per due legislature parlamentare repubblicano eletto per la fiamma tricolore. Fondatore nel 1949 del settimanale “Il Nazionale” (diretto fino alla sua morte) Gray rimane in prima fila per le battaglie di sempre: contro la politica di cedimento dei territori orientali alla Jugoslavia perseguita dal ministro Sforza, contro l’egemonia culturale comunista che avanzava complice la cecità della Democrazia Cristiana. In uno dei suoi ultimi articoli del suo settimanale, intitolato “Tecnica o umanesimo: un’alternativa da evitare” auspicava di “evitare che la gioventù non perfettamente plasmata e protetta consideri la tecnica come una forma sostitutiva della cultura”.

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