La chiamata in correità di Marino: «Se avessi ascoltato il Pd, sarei in cella»
Lo definisce un «gesto di amore verso una città, verso i tanti romani e romane per bene». In realtà, più che intitolarlo “Un marziano a Roma”, il suo autore Ignazio Marino, meglio avrebbe fatto a rispolverare il titolo di un vecchio film come “La vendetta è un piatto caldo che si serve freddo”. Perché di vendetta si tratta. E l’ex-sindaco di Roma lo fa capire sin dalle prime battute della sua conferenza stampa. Nel mirino c’è tutto il Pd («Se avessi seguito tutti i consigli del Pd forse mi avrebbero messo in cella di isolamento») ma il bersaglio grosso è Matteo Renzi. È lui, il premier, che Marino considera il regista della sua defenestrazione dal Campidoglio. «Roma era in una situazione drammatica e bisognava sganciarla dalle lobby – ha attaccato il “Marziano” -. Purtroppo questo non è quello che vuole il governo di Matteo Renzi: preferisce sedersi ai tavoli con le lobby e decidere lì».
«Da sindaco Renzi ha speso 600mila euro in rappresentanza. Io solo 12mila»
Marino non molla la presa neppure quando sfiora l’argomento per lui più indigesto: la carta di credito del Comune utilizzata pagata per saldare i conti nei ristoranti per pranzi e cene prive con amici e parenti. «Quando verrò chiamato – ha annunciato – spiegherò a proposito di questi 12 mila euro che mi vengono imputati». Quindi la “botta”, tostissima, al premier: «Mi piacerebbe che la stessa trasparenza venisse utilizzata dal capo del governo che – lo leggo sui giornali – ha speso in un anno come presidente della provincia di Firenze (che è più piccola nella capitale) 600 mila euro in spese di rappresentanza, rapidamente archiviate dalla magistratura contabile». Ma l’attacco è anche politico: «In questo momento – dice Marino, strizzando l’occhio alla minoranza dem – noi abbiamo non un governo di centrosinistra ma di centrodestra, con Alfano e Lorenzin di Ncd, e al Senato l’appoggio di Verdini“.
Marino su Giachetti: «Legato a Rutelli. Non mi sembra una novità»
Marino va a ruota libera anche sulla situazione del suo partito («non ho rinnovato la tessera 2016, ma l’anno non è ancora terminato») a Roma a conferma che nella campagna elettorale per la Capitale l’ex-sindaco non se starà con le mani in mano: «Il Pd nel 2008, chiudendosi in una stanza e scegliendolo, ha voluto candidare Francesco Rutelli. Allora avevano scelto il candidato sindaco del 1993 che ricorda il secolo passato, adesso – ha aggiunto alludendo a Roberto Giachetti – hanno scelto il capo della segreteria del candidato sindaco del 1993. Non mi sembra un grande passo avanti». Infine, la stoccata a Matteo Orfini, presidente del Pd e commissario a Roma: «Per l’ultimo rimpasto di giunta mi sono fidato dei consigli di Matteo Orfini che sosteneva di averne discusso con il capo del governo. Io ho condiviso questa scelta e me ne assumo la responsabilità, non mi aspettavo che alcuni degli assessori nominati fossero arrivati lì con il compito di guastatori».